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Messaggi del 01/12/2017

"Non ha Dio per Padre chi non ha la Chiesa per madre"? ed altre provocazioni.

Post n°969 pubblicato il 01 Dicembre 2017 da giuliosforza

Post 889

Nell’anticamera di uno studio medico, tra il vario ciarpame editoriale cairesco  messo a disposizione del pubblico desideroso di acculturarsi, un giornalino degli ex allievi e delle ex allieve di una nota congregazione religiosa, di cui scorro velocemente l’indice. Solite tiritere. Ma un titolo attrae la mia attenzione: non ha Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre, e mi sconvolgerebbe, se non fossi ormai quel disincantato faust senza salvifiche margherite che sono. Cribio, mi dico, che capolavoro di ecumenismo! L’avessero scritta gli inquisitori opusdeisti capirei, ma i …, mein Gott! Una così esplicita ed antistorica e infine becera dichiarazione non ricordo d’averla letta o udita da moltissimo tempo, nemmeno dai più radicali de Maistre e D’Aurevilly (ma senza il loro ingegno) dei nostri giorni.

Bon Dieu de la France, sauvez l’Italie, car son Dieu est en vacance.

*

Tre pensieri dominanti

La mia lunga esperienza mi fa ormai convinto che tra le fenomenologie dell’Eros non è stata ancora superata quella proposta da Diotima nel Simposio platonico: l’Eros essere una entità metà demonica metà demoniaca, occupante gli spazi intermediali tra (metaxy - metà e syn-, zwischen, between, entre-deux…)  umano e divino, eternità e tempo, vita e morte, gioia e dolore, estasi e tormento. Cosa l’uno dei due elementi, il positivo o il negativo, spinga a evolvere, o devolvere, nell’altro rimane un mistero, a men che non si chiamino in ballo una insensata moira, una non meno incomprensibile benevola provvidenza, un crudele destino, o un santissimo caso. Tra paradiso ed inferno sta l’eros, ad avvicinare  e ad allontanare, a separare e ad unire, come le pareti di una stanza, come i muri di una prigione. I fortunati che attraverso l’amore han trovato il paradiso son quei santi inutilmente invocati da noi (i più?) dannati all’inferno di un’eros da demonico fatto demoniaco.

Utopia della comunicabilità tra le generazioni. Se esiste una puramente teorica possibilità che un vecchio possa comprendere un giovane (egli ha vissuto i vent’anni, il giovane ignora che siano gli ottanta) in pratica comunicare è impossibile: troppo mutate le categorie mentali, troppo diversi i valori (quelli morali, hegelianamente individuali, e quelli etici, hegelianamente sociali) le situazioni storiche, gli usi e i costumi. Le categorie, nel senso originario aristotelico di determinazioni dell’essere o kantianamente del pensiero che pensa  l'essere e pensandolo lo pone, sono alla base di ogni comprensione. Esse mutate, illusoria ogni speranza  di comunicazione. La pretesa poi del vecchio di guidare il carro della storia è risibile, come patetiche son le sue querule lagnanze (oh tempora, oh mores! Oh gran bontà dei cavalieri antiqui!) sui tempi mutati. Le punte avanzate dell’evoluzione son le nuove generazioni, son esse a trainare il carro della storia, e le strade da noi vecchi segnate solo dagli ignavi son ripercorse.  Noi vecchi rappresentiamo solo dei monumenti, e ne abbiamo la stessa funzione: testimonianza, pura testimonianza,  ammirata o derisa, d’un tempo che fu. Piaccia o non piaccia così va il mondo. Ed è un bene che vada così. Leibnizismo puro ripensato.

Immaginate voi cosa possano condividere con me, tranne forse il DNA, i miei nipoti, ma già i miei figli? E cosa con me possano aver condiviso i miei genitori, io da fanciullo spettatore di una delle più disastrose guerre della storia, essi attori 0 tragicamente testimoni di tre guerre, le due mondiali e nell’intermezzo, quasi non bastasse, la coloniale? Immaginate quale profondo abisso non solo di dolore celassero gli occhi di mio padre e di mia madre, quali misteriose metamorfosi fossero nella loro mente e nel loro cuore avvenute, quali traumi, quali sconvolgimenti, veri e propri terremoti ontologici? Capirsi allora, comprendersi, è forse possibile anche solo pensarlo? Evidente  che non si nasce per comprendere, ripetere, riprodurre ma per reintendere, reinventare, ricreare. Per nessuno il mondo, e Dio col mondo, è quello che gli è dato. Ma quello rilkiano è, che ognuno di noi  è chiamato a ‘costruire  giorno, pietra su pietra, con mani tremanti’.      

*

Ho ritenuto a lungo, e ne ho anche scritto, che il falsificazionismo popperiano fosse una grande novità, non solo nei confronti del contestabile principio scientifico della verifica, dalla quale il verificatore s’attende la conferma delle sue ipotesi e perciò è portato a forzare il fenomeno perché come egli s’attende risponda,  ma anche, per le sue implicazioni, in filosofia e in pedagogia ai fini della creazione di una mente libera. Ora mi imbatto in una citazione tratta dal Sofista platonico, riportata da Vito Mancuso, che mi convince sempre di più tutto essere stato già detto: “La confutazione è la più grande e la più potente delle purificazioni” (in Vito Mancuso, L’anima e il suo destino, Raffaello Cortina editore, Milano 2007, p. 30).

*

In vecchiaia lo svegliarsi presto è una grande opportunità concessa dalla natura per il recupero del tempo perduto (se ne hai le forze, naturalmente, se no puoi sempre spararti). Le lunghissime ore che precedono i primi spiragli di luce possono essere tra le più proficue o le più tediose. Dipende da che le riempi. Io oggi ho avuto fortuna e i pensieri, stimolati da opportune letture ed ascolti (tra questi il Qui comincia di raitre, da qualche giorno programma sempre più ricco e meglio confezionato tra parola e suoni), mi hanno affollato la mente in un susseguirsi ininterrotto che quattro ore circa ha rappreso in un tempo-durata bergsoniana non computabile in termini di tempo-spazialità. Eccone alcuni.

Arundathi Roy, Il dio delle piccole cose. La scrittrice contro corrente hindi mi era ignota, come ignoti m’erano il suo impegno politico e la lotta alla globalizzazione becera per il recupero e la valorizzazione dell’ambiente.

Sono convinto che giustizia e libertà si escludono a vicenda. Ora mi sorge il dubbio che anche tra  sicurezza e libertà sia dia lo stesso rapporto dialettico. A farmi sorgere il dubbio è Mauro Barberis in  Sicurezza e libertà, il fallimento delle politiche antiterrorismo, Il Mulino, Bologna 2017, pp.136, recensito in Qui comincia, tra uno Schubert e un Domenico Scarlatti, da un Attilio Scarpellini sempre più bravo e garbato (ma mi manca Paolo Terni, troppo presto dissoltosi nelle cose).

Benjamin Constant,  De la liberté des anciens comparée à celle des modernes :’Peuple en masse, peuple en détail’.  Singolo ‘schiuma delle onde’.

Ascolto: nel capitalismo il credito ha sostituito il Credo. Io aggiungo: o è il Credo ad essersi ridotto a credito?

Ne ho da scaldarmi l’anima per tutti questi algidi mesi invernali.

 

*

Al doppio concerto d’organo offerto in St. Paul’s within walls Church da Marco Lo Muscio per il compleanno suo e del collega Federico Borsari (di questi interpretava vari brani Roberto Marini, mentre di Marco eseguiva una decina di pezzi  Kevin Bowyer) ho per la prima volta in vita mia (e ne ho sentiti di concerti d’organo in questo quasi secolo di mia passeggiata terrestre!) un brano per quattro mani e quattro piedi dal titolo ‘Ostinato’. Perdinci che diavolo di ostinazione! Quattro piedi e quattro mani indiavolati (quelli di Marco e di Bowyer) che “strapazzavano” senza pietà le tastiere e il pedale trasformando quel benedetto strumento in una orchestra possente i cui suoni, trapassando muri e vetrate, si diffondevano nel cielo dell’Urbe purificandolo da smog e rumori e restituendolo alla purezza dell’Urklang coevo, se non anteriore, al Fiat della Luce. Nemmeno dal mio maestro Giacomo Pedemonte avevo sentito trarre qualcosa di simile dal fantastico superorgano nella chiesa dell’Immacolata in Via Assarotti a Genova. Ma sicuramente il lucreziana simulacrum pedemontiano dai suoi cieli avrà anch’esso gradito.

Tutto il doppio concerto mi è piaciuto: ottimo Roberto Marini nell’esecuzione di “ Finale sul Veni Creator”, “Dalle Chiese dimenticate”, “Cinque pezzi liturgici”, “Lullaby” di Federico Borsari; ed ottimo Kevin Bowyer, con stile e nonchalance esecutore dei lomusciani “Eowin’ Memories”, “Trittico toscano”, “Vocalise n. 5 ‘To Nadja’”,”Concert Variations on ‘Greensleeves’”, “In memoriam Teodosia”, “Blue Prelude”, “Mystic Alleluja in Memory of Messiaen”, “Stazione ottava dalla Via Crucis: Gesù incontra le donne di Gerusalemme”, “New Litanies in Memory of Jehan Alain”. Oltre l’’Ostinato’ di cui ho detto, naturalmente

Inatteso l’Happy Birthday con britannico humour improvvisato da Bowyer. Ci credereste? All’organo è tutt’altra cosa. E’ persino sopportabile.

*   

Sogno di una notte di mezza estate di Michael Hoffmann, riproposto da non ricordo quale canale TV, un film in consonanza con l’attuale mio stato d’animo e la particolare atmosfera musicale che in questo periodo respiro. Un film che ben lungi dal tradire il modello scespiriano (ah i miei Titania, Oberon, Puck!) ne rende anzi il clima ancor più fatato unendo alle musiche di scena mendelssohniane  tanto di Bellini, Donizetti, Verdi, Mascagni (‘Intermezzo’  della Cavalleria, ‘Casta Diva’, ‘Una furtiva lacrima’, ‘Brindiam nei lieti calici’… ne costituiscono buona parte della colonna sonora) quasi ad avvalorare oltretutto le ipotesi (dicerie?) dell’italianità del Drammaturgo d’Oltremanica. I personaggi son tornati a ripopolare le mie stanze uscendo integri  dalle pagine di Shakespeare e di von Weber, musicalmente suo primo riscopritore romantico, e, se permettete, di…Giulio Sforza che in più riprese le vicende di Titania e di Oberon celebrò nei Canti di Pan ambientandole fra i colli le valli le selve della sua terra.

P. S.

Per una ghirlandetta / ch’io vidi, mi farà / sospirar ogni fiore. / Al mio giardin soletta / la mia donna verrà / coronata d’amore

Col Panfilo del dannunziano Sogno di un mattino di primavera di primavera intonerò all’alba la ballata per madonna Fiammetta; e il Sogno d’un tramonto d’autunno nella musica di Malipiero chiuderà il mio giorno affatato.

*

Una amenità musicale , ma non solo musicale. In questi tempi in cui inetti governanti italiani, talebani di casa nostra che non riescono, comprensibilmente, a liberarsi dei fantasmi di un passato ingombrante,  propongono la rimozione  di monumenti (perché non allora più radicalmente la distruzione di città, di quartieri, di architetture, di case, di scuole, di università, di opere pubbliche, di ogni testimonianza insomma, dalla più remota antichità ad oggi?) qualche imbecille mette le mani persino sui testi dei libretti d’Opera, là dove si imbatta in parole come Patria, onore, armi, gloria. In una per il resto bella esecuzione de ‘I Puritani’ belliniani ho trovato, fino a tal punto si spinge l’imbecillità umana, l’All’armi, all’armi! del famoso “Suoni la tromba” (al cui termine il pubblico intero della prima parigina del 1835, pochi mesi prima della morte prematura del Catanese, s’era levato in piedi invaso da furore patriottico, agitando, gli uomini, in aria i cappelli e le donne sventolando i fazzoletti, lo stesso pubblico che aveva pianto romantiche lacrime alla scena della pazzia di Elvira e al suo notturno canto amoroso) con all’alba! All’alba! Incredibile ma poi non tanto, se direttore pare fosse Muti. Parlavo del ridicolo mis-fatto con l’orafo Bevilacqua, ineguagliabile esperto d’opera, musicomane e addirittura musicologo molto più attrezzato di tanti barbassori di mia conoscenza, che ho ritrovato, intatto ultraottantenne, dietro il suo bancone nel negozio di Via Francesco D’Ovidio dopo tanti anni. Dirlo scandalizzato è dir poco. Furioso è la parola giusta.

Per dispetto degli allalbesi me ne vado al piano e me la canto e me la suono tutta in originale.

 “Suoni la tromba e intrepido /io pugnerò da forte: / bello è affrontar la morte / gridando libertà. / Amor di patria impavido /mieta i sanguigni allori, / poi terga i bei sudori / e i pianti la pietà. /All'armi! All’armi! / Sia voce di terror / Patria, vittoria e onor.

*

Tra i motti di cui sono andato strada facendo appropriandomi o che mi sono inventato, tra i più cari mi è quello beethoveniano tratto dai Quaderni di conversazione: “afferrare il destino per la gola!” Ora ascolto il grande romanziere James Ellroy affermare, in una intervista, tra l’altro, esser Beethoven con Wagner il suo punto di riferimento e come lui volere “afferrare il destino per la gola”. Strabiliante! Tranne qualche eccezione, odio tutta la romanzeria americana contemporanea, ma temo che dovrò con essa riconciliarmi avvicinandomi ad Ellroy, di cui confesso d’aver finora ignorato finanche nome. Dall’intervista sono uscito innamorato. Anche il suo genere dovesse non piacermi (non sono attratto da gialli, polizieschi, thriller, horror e compagnia …macabra) in lui ci dev’essere qualcosa di speciale: non può non esservi in un beethoveniano wagneriano. Di quel qualcosa di speciale andrò alla ricerca, e sicuramente in qualche parte lo scoverò.  

__________________

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 



 

 

 

 
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