Disincontrata

Come fosse una bambina.


Dall’altra stanza le chiedo se si è già spogliata ma lei non risponde. Mi avvicino allora alla porta, a quello spiraglio di luce rosa che attraversa la tela colorata della lampada e giunge fino al corridoio. Entro nella sua camera e vedo che è in piedi e si è già tolta i vestiti, ora indossa una camicia da notte fiorita. Mi guarda e mi sorride. Mi avvicino. Da qui in poi il copione è lo stesso, si alza tutta quella stoffa che le arrivava fino ai piedi, se la tiene con le mani tremolanti. Le dico di abbassarsi anche le mutande. Glielo dico piano, sorridendo. Intanto non la guardo, sposto i libri che sono sulla scrivania, faccio finta di essere impegnata a fare l’altro. E’ un accordo implicito stipulato dalle nostre timidezze, dai nostri pudori. Ora è pronta, aspetta me. “Così dormi più sicura senza il pensiero di doverti alzare di notte per fare i tuoi bisogni”. Lo so che non le piace portare il pannolone, è uno di quei momenti della giornata in cui ha di fronte la propria vulnerabilità. Mi sento vicina al suo essere fragile e mentre la aggiusto le dico qualcosa per spezzare il silenzio. Lei come al solito non dice niente. Quando ho finito mi chiede se sopra ci vanno messe le mutande. Chissà se non se lo ricorda o semplicemente le piace sentirsi dire le stesse cose. “Si…è meglio, così il pannolone non scappa!” E le rido. Sorride anche lei e mi ringrazia. “Buonanotte”. “Buonanotte a te, nonna”.