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Repubblica.itDopo le proteste delle famiglie dello statista e di quelle degli uomini della scortala vecchia guardia democristiana assiste all'anteprima. Con una certa freddezzaDiretto da Gianluca Maria Tavarelli, andrà in onda il 5 e 6 maggio su Canale 5Michele Placido è lo statista: "Anch'io ero per la fermezza, l'unica strada possibile"di ALESSANDRA VITALI
Michele Placido è Aldo Moro
ROMA
- "Una pregevole opera di fantasia. Ben recitato. Ma, all'epoca non
esistevano personaggi con quella perentorietà". Con questo commento
Arnaldo Forlani lascia Palazzo Marini, sede della Fondazione della
Camera dei deputati, alla fine della proiezione di Aldo Moro - Il presidente,
miniserie in onda il 5 e 6 maggio su Canale 5. Al mattino, il
presidente Mediaset Fedele Confalonieri, il produttore Pietro
Valsecchi, il regista Gianluca Maria Tavarelli e i protagonisti del
film erano stati ricevuti al Quirinale da Giorgio Napolitano. Nel
pomeriggio, l'anteprima alla quale hanno partecipato alcuni esponenti
della Dc dell'epoca. Il tutto preceduto dalla
polemica:
la famiglia di Moro, e i familiari degli uomini della scorta, hanno
accusato la produzione di voler strumentalizzare la loro presenza,
invitandoli alla proiezione. Che hanno disertato. A loro dedica "il
nostro primo pensiero" Pier Ferdinando Casini, che accoglie gli ospiti
in veste di presidente della Fondazione: "Alla famiglia di Moro e alle
famiglie degli uomini della scorta vanno la nostra vicinanza e il
nostro rispetto, rispetto anche per la decisione di non essere qui,
motivata da ragioni estranee alla Fondazione".
LE IMMAGINI DEL FILM
I LUOGHI DELLA MEMORIA: LE IMMAGINILe
"personalità che furono vicine a Moro e hanno condiviso
quei momenti",
come spiega Casini, sono nelle primissime file. Oltre a Forlani, anche
Emilio Colombo, Giulio Andreotti, Remo Gaspari, Claudio Signorile. Da
loro, niente applausi alla fine. Ha apprezzato, invece, Francesco
Cossiga, che l'ha visto qualche giorno fa. Nel film si racconta in modo
chiaro lo scontro drammatico che si consumò all'interno della Dc, e fra
la Dc e le altre forze politiche. Fanfani che tenta ogni strada, fino
all'ultimo; Zaccagnini che non ha il coraggio dello strappo; Cossiga
deciso a non trattare "perché andrei contro o ogni regola di legalità".
Il no di Berlinguer alla trattativa, e la posizione favorevole, invece,
di Craxi è solo accennata "per motivi di tempo", spiega il regista.
Gianluca Maria Tavarelli nel 1978 aveva 14 anni. Parla del film come di
"un viaggio difficile, in un contesto che aveva generato un evento di
tragica importanza storica e umana. Ho cercato di raccontare quanto
accaduto attenendomi ai fatti, cercando la verità delle cose, senza
tralasciare nulla, senza pregiudizi. La mia - conclude il regista - è
solo una rappresentazione parziale, la mia rappresentazione di quegli
eventi. Ma il mio sguardo è stato guidato dalla volontà di capire".
Michele Placido interpreta lo statista. Intorno a lui, un cast corale:
Marco Foschi (Mario Moretti), Libero De Rienzo (Valerio Morucci),
Donatella Finocchiaro (Adriana Faranda), Massimo De Rossi (Giulio
Andreotti), Giulia Michelini (Anna Laura Braghetti), Ninni Bruschetta
(Oreste Leonardi), Gianluca Morini (Germano Maccari), Stefano
Scandaletti (Prospero Gallinari), Diego Verdegiglio (Francesco
Cossiga), per citarne solo alcuni. "Mi sono ispirato a mio padre -
racconta Placido - che era presidente dell'Azione cattolica del mio
paese, Ascoli Satriano. Quanto alla vicenda, avevo trent'anni ed
convinto che non bisognasse cedere ai terroristi. Di fronte a quella
tragedia della politica, non c'erano altre strade".
La narrazione si apre con un excursus del regista (in parte filmati
d'epoca) nell'escalation del terrorismo anni Settanta e nel mondo,
contraddittorio e tutt'altro che unanime, delle Br, impegnate nel
rapimento dell'armatore Pietro Costa, il cui ricavato dovrà servire
proprio a compiere la "grande impresa": il sequestro di un esponente di
spicco della Dc. Quel bersaglio diventerà Moro, quando avrà accettato
l'incarico di formare il governo per tentare di risolvere la crisi
istituzionale, dopo la massiccia affermazione elettorale del Pci e il
profilarsi di un accordo con i comunisti, osteggiato anche dalla destra
Dc.
Il dilemma della lotta tra Stato e terrorismo da un lato, e quello
delle battaglie sul compromesso storico dall'altro, sono il filo
conduttore delle due puntate. Con una conclusione che lascia aperto il
dibattito sulla possibilità o meno di salvare Moro, e sulle
responsabilità dei vertici Dc e delle istituzioni. Andreotti difende
ancora la scelta della fermezza. "Non c'era altra possibilità. Anche
Moro l'avrebbe fatto", osserva il senatore a vita. Che al termine della
proiezione confessa di aver "rivissuto i momenti più terribili della
mia vita. Incancellabili".
(23 aprile 2008)