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Quando morì Ottaviano Augusto alla veneranda età di 71 anni il potere se lo ritrovò in mano Tiberio. Ora va detto che Tiberio, tutto quel potere lì, non è che proprio ci tenesse particolarmente ad averlo. Anzi. Eppure lo ebbe e lo dovette gestire. Lo ebbe e lo dovette gestire per una fatalità. Una circostanza fortuita ma mica tanto: non c'erano altri eredi. Così, il timido e schivo Tiberio, nonostante una naturale ritrosia al comando, si vide catapultato nelle vertiginose altezze del potere. Era diventato princeps: ma a differenza del suo predecessore non sentiva di poter incarnare poteri terreni e divini. Per dirla con le parole del Mazzarino, era un princeps ma non si sentiva né un dominus né un dio.La sua idea della politica era chiara: evitare che il principato continuasse sui binari dell'assolutismo. L'uomo forte che concentra tutto il potere nelle sue mani era un'idea che non lo affascinava. Non ambiva al dominio, Tiberio. E siccome preferiva la strada della collegialità, cioè della res publica, alla fine pareva fosse un princeps dalla parte dei senatores. Non era bravo a guidare Roma. E infatti si defilò andandosene a vivere a Capri; non era, insomma, quello che oggi si direbbe un decisionista. Certo non era uno di quelli che si fanno rimpiangere. A meno che il successore non sia talmente pieno di sé da far pensare che forse era meglio l'altro. E Caligola era davvero troppo pieno di sé. Pensava di essere una divinità, un nume, un'entità sacra e intangibile. Il suo modo di guidare Roma fu l'esatto contrario di quello di Tiberio: fasti, cerimonie, sfarzi, elargizioni a pioggia, stravaganze, pazzie. Se non fosse che era princeps e che aveva il compito di governare Roma, alla fine sarebbe parso simpatico. Certo più simpatico di Tiberio. Magari non c'entra niente. Ma se ci pensate sembra un po' la storia d'Italia degli ultimi anni. Uno abbastanza normale, anche troppo, a cui succede uno che di normale proprio...