scrittori

Generazione S. La scuola raccontata a mio padre


Carò papà,questo è il mio spazio. Oggi almeno lo sento tutto mio. Lo spazio libero, aperto, la pioggia in faccia, i tamburi, quella lì che balla come fosse tarantolata. Non si entra a scuola. Non si può entrare a scuola. Non ha senso. C'è il mondo qui fuori. Il mondo di fuori è meglio del mondo di dentro, oggi. Un mondo tutto colorato contro le aule incrostate di sapere stantìo. Mi sono scocciato del mondo di dentro. Se il mondo di dentro mi annulla allora me lo cerco fuori il mio spazio. Sono uscito di casa  con le cuffie che sembravo tutto concentrato come i calciatori che escono dai pullman prima di una partita. Che poi più è importante la partita, più quelli hanno cuffie enormi. Io no. Ero con le cuffiette da treno. Sembravo assorto dentro ai miei pensieri sfumati, alle mie sensazioni, alle lampadine che si accendono per un istante. E invece stavo attento. A tutto. Non mi ero autoradiato dal mondo. Il mondo era all'unisono con me. Quando mai mi succede. Di solito mi dileguo per non soccombere agli altri. I decibel mi disorientano e me ne fuggo contento verso quintali di solitudine. E poi riappaio. Quando non ne posso proprio più. Oggi invece era una di quelle volte che tutto mi appariva più sintonizzato. L'Onda mi sembrava dalla mia parte. Mi sono fatto cullare dall'Onda. Me la sono proprio gustata. Ma quale politica! Papà, mi ci vedi a zompettare con qualche bandiera logora e ammuffita?  Per andare dove? e con chi? io il giardino me lo innaffio da solo. Io ballo da solo. Ho la forza dell'età, dalla mia. E voglio la scuola come dico io. Non come vuole la ministra. Sennò che venga lei a scuola. Rimanga in classe lei. Se proprio insiste.