scrittori

A Cesare Pavese confinato in Calabria


A te Pavese,che hai pizzicato la corda in culo al mondoe la corda in culo al mondoha risuonato cupa il verso nerodel mare lento.Ti sei rotta in due la schiena, Pavese, a tradurre gli americani:c' hai vinto il premio di un viaggio al confino.Le Langhe che suono hanno, che suono fanno?Le Langhe lo battono il tempo del mare nero, del male dentro?Al confino, al confino. Coi libri dentro alla giaccahai alzato gli occhi che ti erano rimasti tristinonostante il nome fiero. Non so se ti ricordidi Tito tra i Cesari il più bello. Non so se ti ricordidi Svetonio che scrive la vita di Tito. E Tito che fa?  Rivive,  sopravanza.Ci resta la speranza d'un fiato di parole. Oltre la portac'è una stanza dove s'annida il nero. Lontano resta il bisbigliodi uomini in dialetto e passi lenti. Li senti, Cesare Pavese?C'hai acceso gli orizzonti coi tuoi racconti, e le parole in fila ai versi lunghi.Eri a Brancaleone per un errore. Ti sei trafitto gli occhi con tutto quel nero davanti.Tanto che manco lo guardavi, il mare.Te ne sei andato dal barbaglio accecante delle Langhe,dai bianchi soffocanti delle nebbie per aver parlato con Ginzburg, con Spinelli.Il confine è qui: pullula di mare. Di notte si sveste e crescecon l'amore della luna. Senza falò, per pudore. Così nessuno li vede.Te ne sei andato, Cesare Pavese, insieme a quelli come te: il neros'impiglia sempre dentro a un non so che, Pavese. Il millenovecentotrentacinque, Cesare, è stato lungoe lento, a Brancaleone. A partire dall'estate e forse non è più finito.Hai letto, quell'anno? hai scritto, Pavese? quanto t'è durato? i calabresic'hanno provato ad allietartelo. Ma niente. Il tedio prende sempre il sopravvento,Cesare.Lo spleen t'ha arrovellato. Ha bruciato fino al condono. E te ne sei tornatoalla tua terra. Un tuo amico, Davide Lajolo,  t'ha ricordato nel Vizio assurdo.C'hai portato a spasso con Dos Passos, Pavese. Niente pettegolezzi, come c'hailasciato scritto sull'ultimo pezzetto di carta. Quella notte d'agosto delmillenovecentocinquanta. Una bustina di sonnifero di troppo, per terra.