Separiamoci

Il passivo di Alitalia


L’Alitalia, commenta un broker milanese che in passato qualche soldo su questo titolo deve pur averlo perso, è come la Torre di Pisa: pende, pende, ma non cade mai. E in effetti, se si mettono in fila i risultati aziendali di questa società, non si può che dargli ragione. Dal 1987 a oggi ha chiuso i bilanci in attivo (a livello del margine operativo netto, cioè prima dei pasticci sul capitale) solo due volte: nel 1987, appunto, per 44 milioni di euro e nel 1998, per 271 milioni, grazie a un forte ribasso nel costo del carburante. In totale, fra perdite e guadagni, dal 1987 a oggi (sempre a livello del margine operativo netto) l’Alitalia ha bruciato qualcosa come 4269 milioni di euro. Cioè più di 4 miliardi di euro, che, per chi fosse rimasto un po’ sulle vecchie unità di misura, fa più di otto mila miliardi delle vecchie lire. In pratica, dal 1987 a oggi l’Alitalia ha bruciato una Finanziaria leggera, di quelle facili. Ottomila miliardi di vecchie lire sono comunque una cifra impressionante. Al punto che viene da chiedersi non tanto quando fallirà l’Alitalia, ma come mai non è ancora fallita. La spiegazione si trova nell’altra colonna del suo bilancio. A fronte di 4269 milioni di euro di perdita, troviamo infatti 4176 milioni di euro di aumenti di capitale o di versamenti degli azionisti. Insomma, fra vendite di aerei, scorpori di società, e soldi tirati su dallo Stato e versati nelle sue casse, la società fin qui è riuscita a salvarsi. Ma niente può cancellare il fatto che negli ultimi vent’anni questa compagnia di bandiera non ha mai guadagnato una lira, ha chiuso i propri bilanci sempre in perdita, e è costata più di 4 miliardi di euro. Un altro broker milanese (probabilmente anche lui un po’ scottato dalle operazioni su questo titolo) commenta: “Un ipotetico azionista “fedele”, che si fosse tenuto stretto le sue azioni Alitalia dal 1987 a oggi avrebbe perso il 93 per cento del suo investimento.