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«IO, PRETE GAY ALL'ATTACCO DELL'IPOCRISIA CATTOLICA»


di Patrizia Albanesegenova. «Come vive la propria omosessualità un prete come me? Con molta serenità». Padre Felice, 50 anni, parroco in un Comune della Liguria, parla con il tono leggero di chi questa «serenità» non soltanto la vive davvero, ma la trasmette pure agli altri. Anche perché se l'è conquistata a caro prezzo. Con anni di tormenti, iniziati da adolescente. E poi in seminario, dove confida di aver «avuto la fortuna di una relazione con un altro seminarista». Una bella storia d'amore, «poetica, durata a lungo: per 15 anni». Ma che non gli ha risparmiato riflessioni interminabili e molto critiche. Sia verso se stesso, sia verso la Chiesa. Oggi che anche il quotidiano dei vescovi Avvenire ha aperto il dibattito su sacerdozio e omosessualità, padre Felice può rivelare tranquillamente di essere un prete gay.«Sì, sono gay come molte altre persone all'interno della Chiesa, sebbene non tutte si manifestino». Appunto. Molti religiosi - preti e suore - sono omosessuali. Ma difficilmente ne parlano. Tantomeno in pubblico. Invece Italo, come si chiamava padre Felice nel mondo laico, quando ancora abitava in Lombardia con la famiglia, non soltanto ne parla, ma lo fa con estrema naturalezza. Conferma padre Felice: «Per vivere l'omosessualità con serenità occorre accettare se stessi. E mettere un filtro alla dinamica della gerarchia ecclesiastica e omofobica».Padre, non è che qui parte una sospensione a divinis?«All'inizio, vivi con terrore. Nascondendolo a te stesso. Poi capisci che devi accettarti, facendo un cammino di maturazione affettiva. Un cammino che di solito viene negato. Basta leggersi "Il diario di un curato di campagna" di George Bernanos per capire che cosa prova il classico pretino schiacciato».Quando ha realizzato di essere gay? Da ragazzino, si percepisce. In seminario, si realizza pienamente. Verso i vent'anni, si arriva all'accettazione».Di nascosto? Pregando e macerandosi?«Ho avuto la fortuna di una relazione con un altro seminarista. Era tutto molto poetico. Si hanno vent'anni. E tutta l'incoerenza dei vent'anni. Ma con la speranza data dalle aperture del Concilio. Così almeno si pensava allora. Perché poi è arrivata la Restaurazione. Ma la Chiesa non è una compagnia militare. È una comunione di più voci. Di più anime».Quant'è durata la storia in seminario?«Quindici anni. Anche lui è diventato prete. Poi ci siamo lasciati. L'amicizia è rimasta. Ora è missionario in Centro America».Lei è così tranquillo...«Guardi che conosco molti preti omosessuali, molto tranquilli e altrettanto sereni. Diverso è il caso di quelli che rifiutano di accettarlo e di accettarsi. Sono i primi a scagliarsi...».Lei è single?«Ho una storia da sei mesi. Con un coetaneo. Prete? No, pure lui single».Scusi, padre, e la comunità?«Non tutti sanno tutto. Mica siamo a un reality. Però chi sa accetta. E non ha problemi. Anzi, proprio per questo sono diventato un punto di riferimento per chi ha problemi d'amore. No, non soltanto gay. Anzi. Direi che si rivolgono a me i ragazzi etero. Sanno che posso comprenderli».Scusi, ma la castità?«Bella domanda. Soltanto i monaci e i frati fanno voto di castità sul modello greco di perfezione. Noi preti facciamo promessa di celibato».Ossia?«In realtàè frutto di un diktat della Chiesa del 1200, decisa a evitare che i patrimoni finissero alle famiglie dei religiosi. In realtà, non c'è mai stato obbligo di celibato. Tant'è che non esiste nelle altre religioni. E fino al 1200 neppure per noi. Francamente, penso che il fatto di vivere da soli non faccia maturare. Non ti fa preoccupare dell'altro».Come dire che senza un partner e dei figli non si possono comprendere gli affanni quotidiani dei fedeli?«Concordo. Ma sempre più la famiglia etero viene usata come scudo contro gli omosessuali. È la tragedia del nostro tempo. Che esiste solo da noi. Non in Africa, per esempio. La vita celibataria nelle Missioni non esiste. È importante, però, non farlo sapere. È il gap tra realtà e gerarchie ecclesiastiche. Che all'inizio tutelavano i patrimoni, ora disprezzano la sessualità. A parole. Nell'ipocrisia cattolica, basta non farlo sapere».Invece lei fa coming out. È innamorato?«Sì, felicemente. Da sei mesi. Una cosa molto serena».Chi ha fatto il primo passo? «Direi lui, eravamo in vacanza. Abbiamo iniziato parlando molto. Ci incontravamo».E ora quando vi vedete? Nel fine settimana?«Veramente, sabato e domenica io non posso... - ride - Ma nei giorni feriali, stiamo insieme».Allora, auguri.«Grazie di cuore».Patrizia Albanesedi Il Secolo XIX