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IN LIBRERIA "SOTTO IL CIELO NOTTURNO DI ROMA" DI ANDREA AMBROGETTI


Andrea Ambrogetti già responsabile cultura dell'Arcigay di Roma propone nel suo libro quasi una mappa della Roma gay degli anni novanta tra posti ancora oggi in auge nella mappa gay cittadina (Monte Caprino, l'Hangar, l'Alibi, il Max's Bar, il Settimo Cielo, ecc.) e altri ora scomparsi ma di moda in quegli anni, come l'Officina e l'Apeiron.Punto di partenza e di arrivo di molte delle avventure dei protagonisti del romanzo è Monte Caprino "luogo dotato di uno statuto speciale, di una sorta di extraterritorialità, uno spazio libero, anzi liberato, dove avvengono cose che in altri luoghi non possono avvenire o comunque non avvengono".L'iniziazione che i giovani protagonisti è limitata alla dimensione "notturna", perché alla luce del sole tutto è meno facile. Di giorno non c'è né visibilità, né identità, né rivendicazione. Tentativo di rappresentazione corale di una generazione di giovani che dietro una sfrenata libertà nascondono la complessa ricerca di un equilibrio.---Dal Capitolo 1Ci sono un sacco di persone che conosco ma non ho mai viste di giorno. Magari le frequento da una marea di tempo, eppure, mai che le abbia incontrate alla luce del sole. E' che Valentino e gli altri hanno la mania di non darsi un appuntamento prima delle dieci-undici di sera, quando poi non si sa cosa debbano fare durante la giornata, visto che non vanno più a scuola, non fanno l'università né, tantomeno, lavorano. Qualche volta io ancora provo a organizzare qualcosa, non dico per la mattina, ma per il pomeriggio, tipo: "Perché non ci vediamo alle sei e dopo andiamo a cena?". Purtroppo nessuno mi dà retta, anzi mi guardano proprio strano, come se avessi proposto di andare a vedere i burattini napoletani al Gianicolo a Mezzogiorno, quando sparano con il cannone e in circolazione ci sono solo bambini, mamme, nonni e coppiette. Ma quest'estate non ha mai fatto quel caldo assurdo che ha fatto l'anno scorso, quando c'erano 41 gradi alle nove di sera e c'era la nebbia in pieno agosto sia a mezzanotte sia all'alba per l'afa stagnante, e allora devo ammettere che si stava proprio bene seduti sui gradini della chiesa di piazza della Consolazione a godersi la serata e a guardare le macchine e i motorini con i ragazzi abbronzati e tirati a lucido che arrivavano da via del Teatro Marcello e facevano tre o quattro giri per vedere se riuscivano a rimorchiare qualcuno. Veramente a piazza della Consolazione c'è sempre un traffico da paura. D'estate, d'inverno, la mattina, il pomeriggio, la sera, il sabato, durante la settimana: il flusso di gente - italiani e stranieri, giovani e vecchi, brutti e belli, appiedati e veicolati - non si interrompe quasi mai. Come dice Marco con una certa compiacenza: "Monte Caprino è l'unico posto a Roma che è sempre presidiato, manco fosse l'Ambasciata americana". Questa cosa dell'Ambasciata americana, però, bisognava stare attenti a non dirla di fronte a Valentino, che c'era il rischio si arrabbiasse di brutto per via di quel maledetto Gregg, un ragazzone incontrato una sera all'Hangar e spacciatosi per un addetto alla sicurezza della missione diplomatica di via Veneto: detto con onestà le spalle da security ce le aveva tutte, ma poi non si è presentato all'appuntamento fissato per l'indomani, mezzo in inglese, mezzo in italiano, e non perché Valentino non parlasse inglese, ma perché lui voleva per forza parlare in italiano, con esiti proprio minimi, ad esser sinceri. Veramente, oltre le spalle, a me non sembrava avesse molto altro di rilevante, considerando che non era particolarmente bello, intelligente o simpatico. Comunque, Valentino questo Gregg non se lo è più tolto dalla testa e da quel momento soffre di improvvisi attacchi di nervi nei quali, un po' urlando, un po' piangendo, ripete sconsolato: "Voglio Gregg, voglio Gregg, voglio Gregg, ...". Tanto che questo ritornello mi si è ficcato nel cervello pure a me e ancora oggi, quando mi capita di non pensare a niente, mi riaffiora all'improvviso. Sulla scalinata di Santa Maria della Consolazione ci stavamo più o meno fino alle undici e mezza/mezzanotte quando gli altri salivano su ed eravamo sempre meno quelli che stavano lì per tirare il tempo rispetto a quelli che erano venuti per fare. Non che noi non salissimo mai al secondo o al terzo livello di Monte, ma piuttosto ci andavamo alle tre e mezza/quattro di notte, tornati dalla discoteca, con la testa ancora tutta rintronata da "The Return of the Space Cow-Boy" e da "The Bomb" (che poi a settembre è inspiegabilmente diventata "These Sounds Fall Into My Mind") quando la fauna umana si era diradata un bel po' ed era più facile vedere cosa passava il convento quella notte. Attraversato uno dei tanti squarci che rendono puntualmente inutile la recinzione tirata su dal Comune ogni sei mesi, stavamo anche un'altra ora seduti sul parapetto del Belvedere Tarpeo, sotto quell'immenso pino marittimo che sta lì da chissà quando e ha una apertura alare spaventosa per quanto è immensa, a vedere la piazza con le macchine e i motorini che continuavano a girare imperterriti, ma anche a controllare mezza Roma dall'alto: a sud, il vallone dei Fori, con uno spicchio di Colosseo e il colle del Palatino; a est, via Cavour e la bandiera del Quirinale sopra i tetti del rione Monti; a sud-ovest, il campanile della chiesa della Bocca della Verità, il Circo Massimo e il palazzone bianco della FAO; a ovest, la Sinagoga, l'Isola Tiberina, il Giardino degli Aranci, le chiese, i monasteri e le fortezze del Palatino e, più lontano, oltre la grande ansa del Tevere, gli squadrati condomini popolari di Testaccio. Benché in quei momenti noi fossimo praticamente isolati dal resto del mondo e vagassimo con la mente nell'universo irreale del post-sballo musicale, in pratica non ci capitava mai di rimanere del tutto privi di compagnia. D'altronde, chiunque voglia controllare può star certo che, se va alle quattro di notte al terzo livello di Monte, troverà qualcuno che cammina, gira, se ne va, torna, guarda, scruta, se ne va ancora, oppure si siede su una di quelle panchine bassissime di marmo gelido che stanno piazzate lì da tempo immemorabile e intende non mollarvi fino a quando non vi chiede una sigaretta, oppure si allontana, poi si pente e si siede sulla seconda panchina e non si dà pace, a meno che non si metta direttamente a chiamare qualcuno con il telefonino, e veramente non si sa a chi si possa telefonare alle quattro di notte, se non ad un altro scoppiato, che sta chissà dove a sbattersi. Però, onestamente, al terzo livello di Monte, di ragazzi interessanti ne capitava di incontrarli, magari al ritmo di una sera sì e due no, e allora pure noi interrompevamo di elencare cupole e campanili e cercavamo di darci una svegliata e di renderci un tantinello operativi. Soprattutto Valentino, in queste situazioni, perdeva il controllo e si eccitava alla sola vista di qualcuno che lo interessava. Iniziavamo così tutte le manovre del caso, le quali ovviamente vanno condotte con nonscialance, anzi con quell'arte del casuale, in realtà corrispondente a precise tecniche di approccio, ma che nel nostro caso servivano abbastanza a poco, ché a Valentino gli si leggeva stampato in fronte cosa stava facendo e chi lo attraeva.di La redazione (fonte gaynews.it)