«Attienti ben, ché per cotali scale»,disse 'l maestro, ansando com' uom lasso,«conviensi dipartir da tanto male».Poi uscì fuor per lo fóro d'un sassoe puose me in su l'orlo a sedere;appresso porse a me l'accorto passo.Io levai li occhi e credetti vedereLucifero com' io l'avea lasciato,e vidili le gambe in sù tenere;e s'io divenni allora travagliato,la gente grossa il pensi, che non vedequal è quel punto ch'io avea passato.«Lèvati sù», disse 'l maestro, «in piede:la via è lunga e 'l cammino è malvagio,e già il sole a mezza terza riede».Non era camminata di palagiolà 'v' eravam, ma natural burellach'avea mal suolo e di lume disagio.«Prima ch'io de l'abisso mi divella,maestro mio», diss' io quando fui dritto,«a trarmi d'erro un poco mi favella:ov' è la ghiaccia? e questi com' è fittosì sottosopra? e come, in sì poc' ora,da sera a mane ha fatto il sol tragitto?».Ed elli a me: «Tu imagini ancorad'esser di là dal centro, ov' io mi presial pel del vermo reo che 'l mondo fóra.Di là fosti cotanto quant' io scesi;quand' io mi volsi, tu passasti 'l puntoal qual si traggon d'ogne parte i pesi.E se' or sotto l'emisperio giuntoch'è contraposto a quel che la gran seccacoverchia, e sotto 'l cui colmo consuntofu l'uom che nacque e visse sanza pecca;tu haï i piedi in su picciola sperache l'altra faccia fa de la Giudecca.Qui è da man, quando di là è sera;e questi, che ne fé scala col pelo,fitto è ancora sì come prim' era.