maranatha!

4 marzo 2022, 3


Il momento del congedo
I cittadini di Odessa scavano trincee in difesa della cittàLa ragazza di Odessa con cui sono in corrispondenza, la cui prima lettera ho condiviso qui qualche giorno fa, mi scrive “sappiamo bene che sbarcheranno qui, è questione di poco”. Dice che vorrebbe arruolarsi nelle milizie territoriali “molte donne vanno e non importa se non sai usare le armi, impari presto. Ma dovrei lasciare sola mia madre che ha difficoltà a camminare, soprattutto a fare le scale, abitiamo al quarto piano e lei non vuole abbandonare la casa. Come posso lasciarla sola? I miei fratelli sono già andati, io devo restare con lei anche se restare è una condanna”.Di tutti i gironi infernali in cui la guerra trasforma la vita questo di chi parte e di chi resta, nelle famiglie, è il più doloroso. Forse perché racconta la vigilia di decisioni che possono essere senza ritorno: tutti sappiamo quanto sia difficile muovere il primo passo, aprire la porta e uscire, dire le parole del congedo, separarsi. Dopo, il resto accade. Dopo vai, sei partito, devi vivere e lottare, sei altrove. È il momento distacco quello che chiama in causa le ragioni ultime: decidere se andare o fermarsi, riuscire a farlo.I genitori che si congedano dai figli attraverso i finestrini dei treni e dei bus: quel momento. Che sia consapevole è già un privilegio. Di peggio c’è solo essere partiti per la guerra senza sapere che fosse una guerra. Essere militari di leva, tua madre che ti pensa a un’esercitazione e domanda dove ti mando il pacco. Trovarsi prigioniero di qualcuno che ti porge un telefono per chiamare casa e dire sono in guerra, mamma. Non averlo capito, non essersi salutati come chi non sa se tornerà a vedersi. Non aver avuto neppure quello sguardo di congedo, sulla soglia, da conservare.