maranatha!

24 marzo 2022, 3


E allora gli altri, e allora io
Un palazzo bombardato a Mariupol, città simbolo della guerraAmmettiamo che ci sia qualcosa da discutere, quando un Paese rade al suolo le città di un altro. Ammettiamo che di fronte alla scomparsa di Mariupol dalla carta geografica, avvenuta sotto i nostri occhi, si possa affacciare un pensiero diverso da: io, concretamente, cosa posso fare? E’ l’unica domanda che mi viene in mente ogni minuto. Dato che non posso essere lì a testimoniare, a impedire che le persone muoiano senza avere altra colpa che essere nate in quel luogo: in che altro modo posso dare senso alla mia esistenza di essere umano contemporaneo a quelle vittime?Non intendo dire con questo che le discussioni siano (tutte) oziose. Servono, quando tendono e portano a un risultato concreto: capire qualcosa di incompreso, trovare una strada. Non servono altro che a se stesse, invece, e alla vanità di chi le incarna, quando l’unico loro scopo è quello di vincere a ping pong nel tempo stretto di un dibattito. Cosa vince, esattamente, chi vince? Fa un brindisi a se stesso e va a letto soddisfatto?La retorica della discussione dominante, desolante, è nella formula “e allora?”. Ieri accennavo alla condanna di Navalny. Un sopruso manifesto. Le reazioni, direi tutte, sono state: e allora Assange? Io questa logica non la capisco. Non capisco chi dice Putin? E allora il Vietnam, la Crimea, l’Iraq. Meno ancora, davvero sono al buio, capisco chi dice: e allora il green pass? Ma cosa c’entra. Cosa c’entra il Covid con il delirio di onnipotenza di Putin. E anche ammesso che si possa convenire che sì, l’America la Nato l’Europa la Germania il mio prozio abbiano avuto torto, quella volta: in che modo questo mi esenta dal chiedermi come posso io aiutare chi ha bisogno, ora. Non lo capisco.