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26 febbraio 2022, 5

Post n°2817 pubblicato il 26 Febbraio 2022 da donmichelangelotondo

Piantiamo l’ulivo!

Metafora d’altruismo

Trovarsi con la mente affollata d’immagini e districarsi tra esse, è un po’ come uscire dal Louvre, dopo aver veicolato per quattro ore sui propri arti, stanchi, flosci e non più in grado di sostenerti. L’impatto segnato dai pensieri assidui diventa come l’inerpicarsi, senza l’adeguato corredo, sul K2. Un pensiero, se è permanente, fisso, duraturo, sembra quasi assuma la forma di immagine: forma astratta a secondo la congettura del suo immaginario. Virtuale caleidoscopio. Avvicendamento confusionale, fantasmagorico, dovuto alla stanchezza. Succede pure quando si rimane, frontale e per molto tempo, a percuotere con le dita sulla tastiera del computer, con lo schermo che ti diventa ostico. È a quel punto che la mente si offusca e le immagini sembrano avvalersi di un motu proprio trasgredendo alle tue direttive…

Altero, bolero, ciarliero, foriero, dispero…e perché non “cero”? Da accendere a santa Pazienza per farti tornare i lumi e sprigionarti il lemma giusto che volevi vergare, “maniero”.

Tutto ciò può succedere nello scrivere, senza che uno possa rendersi conto che, pretendere di spremere “succo” dalle aride possibilità, è lesivo per la salute. Ad un certo punto, l’ardimento e l’ostinazione si “siedono” a riposare, mentre è solo la smania a proseguire…senza cognizione di una meta ben precisa…

Dicevo maniero pensando ai tanti sparsi in giro per il mondo: moltissimi nell’Europa feudale (la cosiddetta, “Rete vassalla”).

A proposito del “Vecchio maniero”, citato dal Pascoli nella sua lirica “La canzone dell’ulivo”: il Poeta sente l’etico bisogno che ai piedi delle rovine del “vecchio maniero”, si pianti l’ulivo.

Il castello, una volta abitato da eccelsi signori (Il Parini in una sua opera li identifica come, semidei terreni), ora è diroccato. (I castellani, per ragioni di supremazia, erano soliti farsi guerra uno coll’altro).

La lirica in questione dipinge un quadro che sottende, dentro la cornice di orizzonti fantasiosi, i ruderi del maniero con accanto l’ulivo. Sembra che il Pascoli voglia definire un abbraccio “Odio-Pace”, pensando alla tragedia vissuta dal suo genitore e, di conseguenza, la sua e di tutta la famiglia. È dentro l’orizzonte del suo cuore che alita l’argentea fronda dell’ulivo in armonia col presente di pace, dopo un passato di malevolenza immeritata.

Quali dolci immagini ispirano questi versi! Si passa dall’arrogante possanza dei contendenti e dei loro fortilizi, divenuti rovine e sinonimi di solitudini, al motivo per cui si intenda piantare un simile albero, fino alla descrizione dei tanti benefici derivati a impresa avvenuta.

Quella del vecchio maniero è il segno di decadenza e perdita di una nobiltà acquisita; di ingombranti memorie, rimaste ad alloggiar rapaci e fantomatici, effimeri spettri del passato, in un sito che il tempo gli ha scavato il “volto”, lasciandolo incastonato in una intricata, arruffata “capigliatura” di edere e rovi.

È il desiderio del Pascoli, espresso in versi, a rifortificare il presente con un simbolo di benessere, di vigore e di pace, identificandoli nell’ulivo. Il resto degli elementi occorrenti perché la pianta diventi longeva: saranno messi a disposizione dalla natura: “Non vuole per crescere/che aria, che sole, che tempo, l’ulivo”. Non solo. Ma l’opera dell’uomo, sul pietroso clivo, diverrà impresa altruistica e gratuita. Egli non pianterà l’ulivo per sé, ma per le generazioni a venire, “pei figli dei figli”. La pianta comincerà a dare frutto, dopo diversi anni. Ed ecco l’immagine di un genitore che si prodiga pei figli. È il miracolo che si fa sostanza, materia, realtà, agli occhi di chi è rimasto ad usufruirne il “bene” e che “vede”, attraverso l’opera compiuta: l’ascendente, il carisma dell’operatore. Che si rammenti, poi, dell’avo nel versargli una parte di quel benefico fluido, nella lampada: la memoria, per restare viva, ha bisogno di amorevoli tepori.

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