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Post n°2835 pubblicato il 02 Marzo 2022 da donmichelangelotondo

L'eredità messa in pericolo

Raffaella si sta per laureare, la specializzazione scelta è Contabilità dello Stato

Raffaella si sta per laureare, la specializzazione scelta è Contabilità dello Stato

Raffaella Granata, 23 anni, Napoli, laureanda in Diritto amministrativo

Non è facile avere vent’anni nel 2022 e non lasciarsi trascinare dallo sconforto. In queste ore che mi costringono in casa, a causa del Covid che sembra non volermi abbandonare, sono costretta a guardare il mondo dallo schermo del computer, e vorrei tanto che quelle immagini, quelle parole, così nitide per le mie sinapsi, si tramutino in segni incomprensibili, come se l’oscurità del linguaggio binario possa trasformare tutto in un gioco. Cerco di distrarmi come posso, ma tutto è spento, incolore, al punto che inizio a pensare che la vera paura che accompagna questo virus non sia il terrore di perdere l’integrità fisica, bensì quella mentale.

Eppure niente mi sembra più reale di quei volti che scorrono imperterriti tra le parole dei giornalisti che si riparano dietro i giubbotti antiproiettili. La mia generazione non conosce la guerra, perché ha avuto la fortuna di sperimentarla solo tra le pagine dei libri, chi più chi meno; è stato semplice piangere per i fotogrammi di Sarajevo che spuntavano dal romanzo di Margaret Mazzantini, per la dedizione degli alleati sulle spiagge di Dunkerque, per le spose bambine di Hosseini, vendute per un sacco di grano, e per i resoconti di Oriana Fallaci dalla sua tenda nella lontana Saigon. Ed è altrettanto semplice rammaricarsi per tutto quello che accade, nel silenzio dei più, ai bambini, alle donne e agli uomini palestinesi, o nelle regioni più recondite dell’Africa nera, in Corea, in Venezuela. Questa guerra invece non ha lacrime, è tutto asciutto, fermo, inossidabile: l’ostinazione con cui cerchiamo di convincerci che non possa essere vero ha lo straordinario potere di proteggerci dal dolore finché riusciamo. È troppo vicina per essere riconosciuta con leggerezza, per essere affrontata con fredda razionalità.

Ci sono altre domande, così incalzanti da terrorizzarmi, cui è necessario trovare una risposta prima di potermi concentrare sulle immagini che arrivano da Est: quando guarirò dal Covid? Cosa farò dopo la laurea? L’Italia riuscirà a superare la crisi post-epidemica? Ma tutto precipita in un turbine impetuoso se penso che questa, per me e per i miei coetanei, potrebbe essere l’ennesima tappa di un viaggio distopico idoneo a far implodere le certezze su cui si sono rette le nostre vite fino a questo momento.

L’Occidente è la tesi, il primo singulto di vita che impariamo a conoscere, lo portiamo sulle spalle con i suoi meriti e le sue contraddizioni, inconsapevolmente. È madre e custode di valori e privilegi, che quotidianamente sperimentiamo senza prestarvi alcuna attenzione: siamo liberi di essere chi siamo a Roma, a Parigi, a Londra, a Budapest, a Kiev. Città lontane eppure così vicine, dove è facile ritrovare un vecchio compagno delle elementari che ha scelto di passare l’Erasmus in una di quelle capitali, dove possiamo scegliere di trascorrere il nostro fine settimana per visitare i loro musei.
È questa possibilità di scelta che non vedo più, dallo schermo del mio computer e dalla finestra della mia stanza. La libertà di un ragazzo di 20 anni, nel Vecchio Continente, di scegliere di non stare da nessuna parte, di vivere come essere umano e non come cittadino di un determinato Paese. La conquista più importante del nostro secolo, del resto, non avrebbe dovuto essere, forse, questa? Abbattere i muri, quelli fisici e quelli invisibili, e dar vita ad una rete di collegamenti così fitta e così potente da superare distanze siderali e generazionali, regalando a tutti la possibilità di far sentire la propria voce senza timore di vederla soffocare. Sono state rese pubbliche tante immagini in questi giorni, dalle più drammatiche alle più poetiche, e non riesco ad allontanare dalla testa quei volti, coperti per metà dalle mascherine chirurgiche, di ragazzi e ragazze come me costretti a salutarsi fino a data da destinarsi. In quel saluto non c’è solo la guerra, che divide i corpi ma unisce le storie, ma c’è il sogno della libertà, l’innocenza dell’indecisione, il regalo più bello della giovinezza, ormai sepolta sotto le macerie della storia, sotto le macerie dell’Ucraina.

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