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Messaggi del 10/06/2022

10 giugno 2022, 5

Post n°3231 pubblicato il 10 Giugno 2022 da donmichelangelotondo

Un libro di Paolo Maria Rocco celebra a Sarajevo Izet Sarajlić
Di
Paolo Farina -
10 Giugno 2022
Il poeta tragico della bellezza e dell'amicizia

"Un ponte tra l'Italia e i Balcani", tra due culture che si sono parlate e scambiate, e che gli avvenimenti degli ultimi vorticosi decenni europei hanno fatto correre il rischio di allontanare: anche per questa ragione ha un valore storico il libro "Izet Sarajlić per Sarajevo-Vita e Poesia" (Il Foglio Letterario ed., con il Patrocinio dell'Ambasciata d'Italia a Sarajevo) che Paolo Maria Rocco ha dedicato al ventennale della scomparsa di Izet Sarajlić, il più importante tra i poeti balcanici del Secondo dopoguerra. Una voce che tutto il mondo ha potuto ascoltare, in vita soprattutto, ma anche in morte.

Nell'evento tenuto a Sarajevo per la presentazione del libro, l'Ambasciatore italiano in Bosnia, Marco Di Ruzza -che ha promosso l'iniziativa insieme con il Museo di Letterature e Arti Performative di Sarajevo diretto da Sejla Sehabović- ha rilevato l'importanza complessiva dell'impegno che Paolo Maria Rocco dedica da diversi anni alla diffusione della cultura balcanica in Italia e alla costruzione di occasioni di incontro interculturale.

Il libro presentato a Sarajevo rappresenta una pietra miliare per il rilancio dell'attenzione internazionale intorno alla figura di un poeta e di un intellettuale al quale la cultura in lingua slava ha sempre guardato come alla sua stella polare. Il libro raccoglie una conversazione del curatore con Tamara Sarajlić-Slavnić, figlia di Izet, e una lunga serie di testimonianze inedite di intellettuali, poeti, artisti e filosofi italiani e balcanici, che hanno studiato l'opera di Sarajlić o che lo hanno conosciuto personalmente diventandone amici e spesso condividendone le esperienze esistenziali: Braho Adrović, Erri De Luca, Jovan Divjak, Silvio Ferrari, Predrag Finci, Ottavio Gruber, Miso Marić, Naida Mujkić, Josip Osti, Ranko Risojević, Vesna Scepanović, Giacomo Scotti, Emir Sokolović, Bozidar Stanisić, Stevan Tontić, Gabriella Valera, Silvio Ziliotto, Pero Zubac.

Ne emerge un dialogo fitto che unisce le due sponde dell'Adriatico in nome dell'amicizia e della poesia, in nome di un poeta che -scrive Paolo Maria Rocco-: «ha continuato a cantare la bellezza e l'innocenza della vita, in questo senso, ancora una volta, proprio come il soldato Ungaretti che accanto al compagno morto in trincea scriveva lettere d'amore; poesie, perché è la poesia l'ultimo baluardo contro le atrocità dell'uomo: ‘chi ha fatto il turno di notte perché non si arrestasse il cuore del mondo? Noi i poeti', scrive Sarajlić».

Forse la poesia che segue -dedicata da Izet Sarajlić a suo fratello Ešo, fucilato nel 1942 dai fascisti italiani- e che qui si presenta nella traduzione di Rocco, può illuminare più di ogni altra parola il senso della ricerca del grande poeta:

"Ameremo per loro stasera./ Ce n'erano 28/ Erano cinquemila e 28./ Ce n'erano più di quanto ci sia mai stato amore in una poesia./ Adesso sarebbero padri./ Adesso se ne sono andati./ Noi che sulle piattaforme di un secolo abbiamo pianto/ la solitudine di tutti i Robinson del mondo,/ noi che siamo sopravvissuti ai carri armati e non abbiamo ucciso nessuno/ mia piccola grande/ stasera ameremo per loro./ E non chiedere se sarebbero potuti tornare./ Non chiedere se sarebbe stato possibile tornare indietro/ mentre per l'ultima volta/ rosso come il comunismo, ardeva l'orizzonte dei loro desideri./ Attraverso i loro non amati anni, pugnalato e in piedi, / è passato il futuro dell'amore./ Non c'erano segreti nello stare sdraiati sull'erba./ Non c'erano segreti nella camicetta sbottonata./ Non c'erano segreti nel giglio cadente da mani esauste./ C'erano notti, c'erano fili spinati,/ c'era il cielo guardato per l'ultima volta,/ c'erano treni che tornavano vuoti e desolati,/ c'erano treni, c'erano papaveri,/ e con essi, con i tristi papaveri di un'estate militare,/ con magnifico senso di fratellanza, gareggiava il loro sangue./ E sui Kalemegdan e sulle Nevsky Prospekt,/ sui Boulevard del Sud e sui Quays degli addii,/ sulle Piazze fiorite e sui Ponti Mirabeau,/ meravigliose anche quando non amano,/ Anne, Zoje, Janet hanno aspettato./ Aspettavano il ritorno dei soldati./ Se non fossero tornati/ avrebbero dato ai ragazzi le loro bianche spalle mai abbracciate./ Non sono tornati./ Sui loro occhi fucilati sono passati i carri armati./ Sui loro occhi fucilati./ Sulla loro Marsigliese interrotta./ Sulle loro illusioni trafitte. Adesso sarebbero padri./ Adesso se ne sono andati./ Ora al convegno d'amore sono le tombe ad aspettare./ Mia piccola grande".

Il libro "Izet Sarajlić per Sarajevo-Vita e Poesia" è scritto in due lingue, italiano e bosniaco, ulteriore tappa di avvicinamento alla conoscenza di una cultura molteplice e ricca come quella che si esprime in lingua slava, che si aggiunge all' "Antologia di poeti contemporanei dei Balcani" allestita e tradotta insieme con il poeta bosniaco Emir Sokolović (2019, LietoColle), un unicum nel panorama letterario in lingua italiana e slava, alla silloge "Bosnia. Appunti di viaggio e altre poesie" di Paolo Maria Rocco (Ensemble ed.) con testo a fronte in lingua bosniaca di Nataša Butinar, e che oggi registra la traduzione con proposta di lettura critica del libro dello scrittore e filosofo Predrag Finci "La stazione e il viaggiatore", con le foto artistiche di Milomir Kovačević Strasni, per le Edizioni "Il Foglio Letterario" (2022).

Paolo Maria Rocco è poeta e narratore egli stesso, premiato in Italia e all'Estero. In un prossimo articolo presenteremo la varietà del suo impegno di ricerca letteraria, e della originale proposta poetica.

 

 
 
 

10 giugno 2022, 4

Post n°3230 pubblicato il 10 Giugno 2022 da donmichelangelotondo

Vita da empatico
Di
Myriam Acca Massarelli -
10 Giugno 2022
«Chi riconosce gli altri è dotto.
Chi riconosce se stesso è saggio.
Chi batte gli altri ha forza fisica.
Chi batte se stesso è forte.
Chi è soddisfatto è ricco.
Chi non perde il suo centro dura»
(Lao Tze)

L'empatia è educabile, è vero, però pensiamoci.

La vita di un empatico, in quattro parole e prima di capire che di empatia si tratta: una rottura di coglioni. Una grossa, gigante, immensa ed infinita rottura di coglioni!

Perché, francamente, a fare poesia o a dare definizioni elegantemente scientifiche, dopo aver fatto un percorso ed aver capito, siamo bravi tutti. Sì, occhei, più o meno tutti. Ancora? Va bene, più meno, che più. Diciamo che chi sa farlo, a conti fatti, vince facile. Vogliamo provare?

Empatia: in psicologia, la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d'animo di un'altra persona. Nella critica d'arte e nella pubblicità, la capacità di coinvolgere emotivamente lo spettatore con un messaggio in cui lo stesso è portato a immedesimarsi.

Possiamo però alzarci oltre.

Diversa dal concetto di exotopia, coniato da Bachtin, con l'empatia l'operatore decontestualizza alcuni tratti dell'altrui esperienza, mantenendo valido il proprio contesto. Simula di "mettersi nelle scarpe dell'altro" ma in realtà, all'ultimo momento, "mette l'altro nelle proprie scarpe". Nell'exotopia, invece, la ricerca inizia quando, avendo cercato di mettersi all'altrui posto, ci si accorge che le sue calzature sono strette.

E la poesia?

Credetemi, potrei continuare a scrivere ancora molto e molto a lungo su questo, perché ad un certo punto ho dovuto approfondire, fosse stato anche solo per scrivere tesi che fossero un minimo accettabili; e non vi dico, da 110 e lode! Sì, certo, i numeri c'erano: il resto lo vediamo!

Ma ho dovuto studiare anche per dare un minimo di senso a quello che sto per dirvi.

Quindi, cosa stavo per dirvi? La poesia, le definizioni, le relazioni empatiche, i legami sociali... Ma anche sticazzi!

Sì, lo capisco bene che un inizio del genere non sia propriamente ortodosso e, ancor meno, porti l'idea della mia figura all'interno di un'aula di Cambridge, ma devo davvero chiedervi uno sforzo di comprensione.

Provateci un po' voi a trascorrere 22616280 minuti, ovvero 15705 giorni, ossia 516 mesi, pari a 43 anni di convivenza forzata con chiunque, incluso il gatto nero che vi attraversa la strada, senza capire per quale dannata ragione dovete avere sempre interi condomìni di gente nel corpo, pur detestando anche solo averla attorno.

No, dico, vi sfido io a non convertirvi alla religione della misantropia!

Sono solo pochi anni che ho preso coscienza tanto di cosa stiamo parlando, quanto del perché io sia così terribilmente ed irrimediabilmente selettiva.

Il fatto è che, per esempio, l'empatico è in auto, sul sedile passeggero, il gatto nero attraversa la strada, partono le rinomate azioni e parole del caso da parte degli occupanti l'abitacolo e lui, l'empatico, tace. Intanto pensa:

- Che male ha fatto il quadrupede?

(E già qua dovrebbe farsi una domanda, posto che non ama i felini. Non che in quella domanda fosse espresso il linguaggio di S. Francesco, ma il minimo sindacale per lui, che proprio non li ama, avrebbe potuto essere infischiarsene: del resto il gatto aveva attraversato e lo avevano "deriso", nessuno gli aveva fatto del male).

E poi parte la sensazione successiva: l'empatico si sente improvvisamente ricoperto da una pelliccia nera, ha la coda, è solo di notte al ciglio di una strada, vuole raggiungere l'altro lato dove c'è solo aperta campagna: una distesa non meglio definibile o definita di alberi perfettamente allineati, che rimandano un silenzio che supera De Andrè alla radio.

Non ha rotto le scatole a nessuno, è un felino ed è molto furbo, riesce a beccare l'istante perfetto per attraversare di corsa senza recare danno e, nonostante questo, loro devono temerlo, pensare alle peggiori disgrazie, ricorrere a non meglio specificati riti propiziatori relativi alle parti basse; lui sarà già arrivato dall'altro lato della campagna, loro, in auto, avranno percorso tutta la Salerno Reggio Calabria e staranno ancora parlando di lui.

Bene, è un felino, lo abbiamo capito. Se ne infischia della qualunque, per sua fortuna, ma sempre in una campagna totalmente buia è finito, in solitudine totale e probabilmente senza cibo, né acqua. Il tutto, mentre quegli umani sparano le peggiori idiozie e poi fanno anche finta di essere musicalmente preparati: mecojoni! Cantano De Andrè, mica Alessandra Amoroso!

- Che male avrò fatto?

Et voilà, il pensiero dell'empatico cambia il pronome. Si è fatto gatto.

Eccolo, dunque, un empatico. Per lui è sempre carnevale. Si ritrova travestito con gli abiti più impensabili, nei momenti più improponibili e pensa con la testa di quell'abito; ed è una testa non sua, ragion per cui non si può dare per assunto che quelli siano per lui pensieri immediatamente comprensibili!

Ancora una volta, in tre parole: schizofrenia portami via!

Perché, camminando "per una selva oscura, ché la dritta via era smarrita", l'empatico non sa assolutamente cosa diavolo significhi quello che gli succede, né immagina che sia una cosa singolare. Lui conosce solo quel modo di stare al mondo, non possiede termini di paragone, non ha idea che non sia così per tutti.

È l'antica storia dei concetti che esistono grazie al loro opposto, che non sono come i concetti universali. Nel loro caso, ad esempio, si può pensare ad un rettangolo. Cosa sarà mai un rettangolo? Esiste? Lo si può toccare? Certo che no. Al più ci si può far venire in mente lo schermo di una tv, un foglio, il tavolo del salotto di casa di zia Franca. Tutto questo esiste, ma il rettangolo in sé no, non c'è.

Diverso è per il caldo, per esempio. Tanto lo si identifica quale caldo, perché si conosce il freddo; la luce, tanto la si identifica quale luce, perché si conosce il buio; la sazietà, tanto la si identifica quale sazietà, perché si conosce la fame. E così via.

Dunque l'empatico: lui non possiede termini di paragone, perché la sua patologia è inscritta nel suo DNA dacché è un embrione: assume innumerevoli personalità, uno, nessuno e centomila e non lo può capire. Vive così dacché è un bambino, una vita passata a percepire tutto, tutto, TUTTO, sempre, sempre, SEMPRE!

Tutto questo, peraltro, accade anche con le gioie degli interi condomìni che popolano il mondo e che l'empatico incontra, prima di capire che converrebbe andare a vivere in un eremo!

- Che bello, ho incontrato qualcuno felice!

#BelloNiente! Un empatico diventa talmente parte di quella felicità da sentirla prima, durante e dopo. Fino a piangerne e sentirsi scoppiare il cuore.

#ÈBellissimo! In verità è bellissimo. Ma la fatica!

E quindi, per carità, aiutatemi voi a spiegare. Posto che i numeri io li aborro, vi chiedo di compiere per me un puro atto aritmetico: moltiplicare quello che vi ho detto per ottordici, per millemila, per infinito!

Capite ora quanto possa essere sfiancate la vita di un empatico?

E badate bene, lui non si stacca mai nemmeno dalla sua, di vita: un'altra immensa botta di fortuna, da leggersi con la C maiuscola!

La morale del momento è che se l'empatico non si decide a capire il perché la sua vita funzioni così, finisce in una clinica psichiatrica.

Inizia a sentire le persone ancora prima di averle conosciute. A pelle, dice, quando ancora non sa cosa sia questo labirinto, ma almeno ha imparato ad aspettarselo.

E poi non si fida mai ciecamente delle prime impressioni: lo sa bene che le sue, in realtà, non sbagliano, ma non ce la fa a fidarsi in assenza di riscontri immediati e pratici. Del resto, non è che si possano buttare nel wc delle persone solo perché un istinto senza senso si sveglia e dice di no!

E giù di sensi di colpa, di domande, di allerta.

Cosa succede allora? Improvvisamente l'empatico capisce che ha la facoltà di attirare tanto altri empatici quanto persone totalmente prive di questa caratteristica, e sono le più pericolose. Quelle che la psicologia definisce "buchi neri", che hanno solo bisogno di egoistico nutrimento e succhiano linfa al prossimo, fino a fargli perdere la lucidità.

È per questo che un empatico può arrivare a detestare la compagnia: assorbe tante e tante di quelle cose che sono tutto ed il loro esatto contrario, da non riuscire sempre a farcela. Ha bisogno di ristoro. Quindi di una stanza murata: e i muri, si sa, tante cose fanno ma ancora non sanno provare emozioni.

La verità però è una: una persona siffatta viene sempre in pace. Non sempre vi chiederà come state, perché se siete trafitti, lei diventa trafitta ed è per quello che non farà domande: sa che non le gradireste in quel momento, salvo poi lasciarvi modellare dalle regole sociali, per le quali chi non chiede, è automaticamente disinteressato.

Una persona siffatta è sempre interessata, vi sente, non può farne a meno e riconosce ogni virgola: annusa la menzogna, l'imbarazzo, l'opportunismo ed anche tutti i loro opposti. Riesce, con l'istinto, a sferrare colpi da vero mentore senza lungaggini: ipso facto. Ma non vi farà mai del male, ne farebbe a sé stessa.

Ha ricevuto "il più antico sentimento dell'animo umano, che non è la paura, bensì l'empatia. Prova dolore per il vostro dolore. È una benedizione e una maledizione allo stesso tempo" (Luca D'Andrea).

 

 
 
 

10 giugno 2022, 3

Post n°3229 pubblicato il 10 Giugno 2022 da donmichelangelotondo


Una vecchia amica e quello che conta

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la tenda

Sono stata a far visita a una vecchia amica, ha più di ottant'anni e mi aveva detto, per telefono: "Sarebbe così bello vederci ma so che hai tanto da fare: senza fretta, quando potrai". Senza fretta, ha detto, e si sentiva dentro un sorriso. Il tempo corre in modo disuguale nelle stazioni della vita. Così ho preso il treno, una mattina, e sono andata. Mi ha accolta nella sua casa piccola davanti al mare, piena di luce e di tende che volano, di sculture di legno che ha dipinto negli anni, di cuscini e di bicchieri diversi.

Era scalza e aveva indosso una tunica rosa scuro, mi ha offerto un succo di frutta e ha cominciato a dire e domandare: dei russi, degli ucraini, dei libri candidati al premio Strega ("uno, consigliami, ma che sia da non restarci male") di un film che non ha visto né vedrà ("non esco, troppa folla"), di politica e di referendum, sa tutto, dei referendum, di come cambia il tempo e di bellezza, che poca ce n'è. E' stata - è ancora - una donna irresistibile. "Ho usato ogni secondo della vita, li ho vissuti tutti. Anche quelli che sembravano vuoti sono stati pieni, invece. Poi un giorno a ottant'anni, all'improvviso, ho capito che non potevo far più i tuffi a mare come prima. Così ho smesso, ma non di innamorarmi. Ci puoi credere? Di innamorarsi non si smette mai. Non ci si stanca".

Ho fatto obiezione, timidamente, lei ha sorriso: "Che ne vuoi sapere tu che sei una ragazzina". Abbiamo ricominciato a discutere di politica, ne ha fatta tanta, ne sa tanto, mi ha spiegato alcune cose scure. Poi al momento di congedarsi, sulla porta, ha detto "lascia che gli altri si avvicinino, non difenderti, non serve. La sincerità dei sentimenti, ascolta solo quella. Vai, e torna presto".

 

 
 
 

10 giugno 2022, 2

Post n°3228 pubblicato il 10 Giugno 2022 da donmichelangelotondo


The Duffer Lesson
di Gabriele Romagnoli
The Duffer Lesson
10 Giugno 2022
Aggiornato alle 00:36 1 minuti di lettura

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La prima cosa bella di venerdì 10 giugno 2022 è la cosa migliore della serie televisiva Stranger Things: la storia dei suoi creatori, i gemelli Duffer. La quarta stagione è il più grande successo per una serie in lingua inglese, ne parla tutto il mondo. Non ci vado matto, ma per i Duffer sì. E' il film nel film. Due gemelli che non riescono a fare niente se non insieme. Frequentano solo scuole dove possono andare entrambi, se li vogliono separati vanno altrove. Progettano film fin da bambini. Ne girano uno che va direttamente in dvd. Non si scoraggiano. Scrivono questa Stranger things e vanno a proporla. Si sentono dire 15 volte no. "Se volete protagonisti bambini, non dovrebbe far paura" "Riscrivetela dal punto di vista dello sceriffo" "Bella, ma per quale pubblico?" "Mah" "No" "No" "No". Adesso li pagano 100mila dollari a testa per tenere conferenze motivazionali di 50 minuti. In una hanno detto: "Chi ce la fa? Chi ama così tanto quel che fa da non riuscire a immaginare di fare altro". E' Rocky. E' un deja vu. E la cosa più strana è che è la realtà.

 

 
 
 

10 giugno 2022

Post n°3227 pubblicato il 10 Giugno 2022 da donmichelangelotondo

(Leggo)

«...dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l'udì, Elìa si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna» 1Re 19,9.11-16.


Altro che visioni, miracoli ovunque o altro...delicatezza e profondità ci chiede i lSignore!

(Prego)

Dio è amore; chi rimane nell'amore,
rimane in Dio e Dio rimane in lui. (1Gv 4,16)

(Agisco)

Sensibilità nel rispettare la donna e nel contrastare ogni dipendenza (gioco, alcol, droga).

 

 
 
 

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