ULTRA' a tutta D

farebbero tutti silenzio


Andrea Zambelli, autore di "Farebbero tutti silenzio", ci parla del suo documentario, un viaggio all'interno della realtà ultras di una squadra lombarda, la bergamasca Atalanta. Attraverso la testimonianza degli stessi tifosi, esploriamo un mondo atipico fatto di regole, codici d’onore, riti, dotato di una propria scala di valori. Scopriamo quali sono i rapporti tra le tifoserie, il conflitto con le forze dell’ordine e con i media e come il sistema televisivo delle Pay-TV stia cambiando radicalmente il modo di vivere lo stadio.Uno strumento per entrare in contatto con una dimensione sconosciuta alla maggior parte delle persone, ma anche per scoprire come certi meccanismi di controllo, istituiti nei confronti dei tifosi, possano poi essere sfruttati come strumenti di controllo sociale in senso più ampio.di Max FranceschiniRaccontaci come è nato questo progetto…L'idea è nata nell'autunno del 2000, insieme a Luca Radaelli. Ci colpiva l’aspetto di questa realtà per diversi motivi. Lo stadio, a Bergamo, è uno dei punti di aggregazione più forti della città, fin da quando i ragazzi cominciano a uscire di casa, dai 17-18 anni. Inoltre, la realtà di stadio a Bergamo è molto particolare, se pensi alla quantità di volte che la città viene citata nelle cronache domenicali che riguardano l’ordine pubblico. La caratteristica provinciale di Bergamo fa sì che ci siano dei meccanismi sociali di autogestione dei gruppi che ci sembravano interessanti, soprattutto se messi a confronto con le tifoserie delle grandi squadre, dove tutto è più organizzato, gestito in modo più controllato e commerciale, direttamente dalle società calcistiche.Come avete pianificato il lavoro?Abbiamo steso i punti principali che ci interessava investigare, una griglia di sei punti che prevedeva: aggregazione, autogestione, rapporto con la polizia, rapporto con le altre tifoserie, leggi speciali e ridefinizione dei rapporti tra tifoseria e stadio causati dall'avvento della Pay-TV.Come ti sei avvicinato a questo mondo?Anche non facendone parte, conosco parecchia gente che vive questa realtà. Cominciando a lavorarci, ho maturato una capacità di comprensione e di analisi sempre maggiore, soprattutto rispetto a particolari dinamiche. Certi atteggiamenti riguardo la violenza, il rispetto o, al contrario, il disprezzo verso le altre tifoserie ora a me non stupiscono più, mentre possono sembrare ridicoli o negativi per chi vede il documentario. Tutti questi aspetti vanno letti all'interno della mentalità ultras.Avete avuto difficoltà nel realizzarlo?Uno dei lavori più difficili è stato convincere gli ultras. Senza il loro consenso questo lavoro non si sarebbe mai potuto realizzare. Qualcuno non era convinto, altri totalmente contrari all'idea, ma quando abbiamo avuto l'appoggio della maggioranza del gruppo, siamo partiti. A convincerli è stata la prospettiva che il lavoro potesse essere utile proprio a loro stessi. Nel gruppo qualcuno aveva già cominciato a fare una riflessione sul fatto di subire forme di repressione e di distorsione mediatica sempre crescenti. Un problema vissuto sulla loro pelle che li ha convinti a pensare al video come uno strumento di difesa, un modo per provare a rispondere sul piano dell’immagine, della comunicazione.Io mi sono offerto come "mediatore”. Man mano che realizzavo le interviste, altri che erano presenti solo per assistere capivano l'operazione e, non solo si convincevano, ma poi volevano intervenire e dire come la pensavano.Qualche intoppo c'è stato, in particolare allo stadio, dove spesso qualcuno si avvicinava per chiedere spiegazioni.A proposito di filmare allo stadio: nel documentario ci sono immagini di scontri, anche molto violenti, ripresi dall’interno dello schieramento ultras. Come è stato riprendere quelle immagini?Avrei potuto girarle in posizioni più sicure, ma volevo che il punto vista dello scontro fosse quello dell'ultras, con le soggettive dell'ultras che viene caricato. In alcuni casi sono stato avvicinato dalla polizia in borghese, che voleva spiegazioni sul fatto che stessi riprendendo. A Roma ad esempio la polizia ha voluto che spegnessi la telecamera, altrimenti non ci avrebbe fatto uscire dallo stadio. In altri casi qualche ufficiale mi avvicinava e mi diceva "interessante l'idea, sapremmo noi cosa potresti fare..."Come reagisce il pubblico durante la proiezione. Quale atteggiamento manifesta davanti alle testimonianze degli ultras?Le reazioni del pubblico sono spesso di divertimento o di presa in giro, anche verso posizioni o atteggiamenti molto seri degli intervistati. Credo che ci sia un po' di presunzione in questo: credere che nel modo in cui pensi debba andare il mondo… L'aspetto divertente c'è se ragioni con il tuo metro di pensiero, ma se leggi l'atteggiamento all'interno del sistema di valori del mondo ultras, è tutto perfettamente coerente. Quando lo abbiamo proiettato a Bergamo c'erano 1500 ultras e nessuno lo ha preso per ridere, anzi lo hanno apprezzato per la serietà e per i toni di denuncia.Infatti i contenuti di denuncia emergono spesso…Il documentario ti dà lo spunto per ragionare su delle dinamiche molto importanti, in particolare per quanto riguarda le leggi speciali istituite per contrastare la violenza negli stadi, o la speculazione che i media fanno di questo fenomeno. Dinamiche che a ben vedere esistono per il calcio ma anche nei confronti della vita sociale e politica.Voglio fare un esempio: il sistema delle diffide varato tre anni fa, ti obbliga, senza possibilità di difesa, a limitare i tuoi movimenti, costringendoti a firmare in questura quando ci sono le partite. Recentemente questo sistema è stato applicato a Torino, nei confronti di tre ragazzi di un centro sociale, costretti alla firma quando ci sono manifestazioni politiche. Anche se quello degli ultras può essere un mondo a parte, certe dinamiche del "potere" sono le stesse.Che percorso sta avendo questo lavoro?Anche se ho avuto offerte allettanti, l'accordo fatto con gli ultras era che il documentario dovesse essere non-profit, che non ci sarebbe stato uno sfruttamento commerciale da parte di nessuno. Abbiamo perciò deciso per una diffusione dal basso, che va dal circuito dei festival ai centri sociali, ad altri circuiti alternativi.Il tuo prossimo progetto?Sto partendo per il Libano, per un lavoro sui campi profughi palestinesi in Libano, Giordania e Siria…SinossiDocumentario sugli ultras dell’Atalanta.Il film mostra uno spaccato del vivere ultrà, che risulta sconosciuto alla maggior parte delle persone a causa della distorsione mediatica del fenomeno, messa in atto da televisioni e giornali.Nella seconda metà del documentario l’attenzione punta sui rapporti del soggetto ultrà con le forze dell’ordine e con i mezzi di informazione, cercando di capire se esiste una correlazione tra l’avvento del calcio digitale delle pay-tv e l’inasprirsi dei rapporti dei tifosi con società, polizia, stampa.