Valle dei pensieri

L'angelo caduto(altro episodio tratto da il cerca talenti)


Ho riletto il pezzo(anke se un po' frettolosamente)ma nn ci dovrebbero più essere errori gravi ora.cmq, se doveste notarne qualcuno,mi fareste una gran cortesia se me lo faceste presente.grazie e buona lettura;Riporto di seguito una parte ke ho scritto proprio questa sera...Daniele,il protagonista del mio libro,viene invitato a casa dell'eccentrico dottor Riberti e rimane stupito da un affresco che vede dipinto sul soffitto del salone.
Soffermai lo sguardo sulla libreria alla mia destra, ed infine su di un bellissimo affresco, disegnato sulla superficie a cupola che caratterizzava il centro del soffitto. Nel disegno c’era un angelo che,con la mano destra teneva una spada, e con quella sinistra uno scudo. L’angelo era prostrato al suolo, con il capo all’ingiù, ed i lunghi capelli ricci che gli cadevano fino a coprire, quasi del tutto, le nocche della mano con la quale teneva ancora ben saldo il manico dello scudo,capovolto e poggiato per terra. La spada, invece, era conficcata nel terreno e ricoperta di sangue. Pareva che l’angelo vi si stesse appoggiando, per cercare di rialzarsi, dopo essere caduto violentemente per terra. Una delle sue ali era dispiegata e bianca come il latte, dell’altra, contrariamente, mancava circa la metà e la parte che era rimasta attaccata alla schiena, era,come la spada,colorata con macchie rosse, dense e scure. Sullo sfondo, in lontananza, si distingueva un gruppo di demoni dalle ali di pipistrello che, con lance e spade, si scontravano con altri angeli, alcuni nudi e feriti, altri con armature semidistrutte. Il tutto, era illustrato con una cura per i dettagli e le proporzioni da far sembrare quel disegno quasi una fotografia, quasi un’opera di Michelangelo. I muscoli e le vene del soggetto in primo piano, erano disegnati con una maestria d’altri tempi e i miei occhi si perdevano in cerca di altri, crudi e realistici particolari; pareva quasi che le immagini potessero muoversi. Avrei voluto sul serio rendere quel dipinto vivo: mandarlo avanti, disegnare altri fotogrammi per sapere chi, tra angeli e demoni, avrebbe vinto. O andare indietro, con un flashback, per tentare di scoprire con chi si era scontrato quell’angelo in primo piano, chi l’aveva ridotto così e fatto precipitare. Sarei rimasto ad osservare l’affresco per chissà quanto altro tempo, cercando di immaginarmi mille storie diverse, mille possibili finali e retroscena, ma Riberti mi interruppe dicendo: “Bello vero? L’ho fatto dipingere da un pittore sud americano; per ora è poco conosciuto ma con il talento che si ritrova molto presto diventerà famoso”. Per un attimo diressi il mio sguardo verso Riberti, ma poi ripresi a guardare il dipinto e dissi: “Si, davvero bello…è così carico, emozionante. Ha un titolo per caso?! Ripercorre qualche passo della bibbia o cose del genere?!”. Riberti rise di gusto, poi aggiunse “Questa domanda me l’aspettavo da te, da te che hai una curiosità così viva e attenta per i dettagli…Comunque non si riferisce a nessun passo della bibbia: è un pezzo tratto da un libro che ho letto; mi è piaciuto molto il modo dell’autore di descrivere la scena, e ho voluto a tutti i costi renderla ancora più viva, far si che potesse divenire un immagine. Così ho chiamato questo Josè  Obregòn. Mi fu presentato, con grande entusiasmo, da un mio caro amico, ad uno spettacolo teatrale. Vidi alcuni suoi disegni e me ne innamorai. Quando lessi il passo dell’angelo sconfitto nel libro di Riccardo Meiosi pensai che, nessuno meglio di Obregòn, avrebbe potuto far vivere quella scena. Gli feci leggere la descrizione e poi gli chiesi di dipingermela sul soffitto. Mi è costato un po’, ma ne è valsa la pena, non credi?!.” Parevo uno scolaretto eccitato; per poco non mi misi a saltellare. Ero talmente preso da quell’immagine e dalla curiosità di scoprire quale storia ci fosse dietro, che per qualche minuto mi dimenticai completamente di ciò che era successo la sera prima. Dimenticai l’angoscia, la rabbia e la gelosia e le lacrime e la mia confusione mentale. “Certo che ne è valsa la pena.”dissi, sempre più incuriosito, poi aggiunsi, senza staccare per un attimo lo sguardo dal soffitto: “E come si chiama il libro dal quale è tratto l’affresco?! Chi è l’angelo in primo piano?! Che epilogo ha la storia?!”. Ero troppo curioso per preoccuparmi di limitare le mie domande, ma Riberti non parve per nulla infastidito o sorpreso. Si alzò e si diresse verso la libreria, rovistò tra alcuni libricini sottili, si mise sulle punte e ne prese uno; il libro aveva una grossa croce rossa disegnata sulla copertina dallo sfondo bianco. Mi portò il volume e me lo mise di fronte. Sotto la croce, con caratteri celtici c’era il titolo: “L’ultima lotta” e poi sotto, scritto in piccolo e in grassetto, il nome dell’autore:Riccardo Meiosi. Non conoscevo né il libro né l’autore ma, dal modo in cui Riberti lo teneva in mano e dall’orgoglio con il quale me lo aveva mostrato, quel Meiosi doveva essere uno dei suoi autori preferiti. Aprì con cura il libro, sfogliò qualche pagina, fino ad arrivare quasi alla fine e poi disse “Eccolo qui l’epilogo, sono le ultime cinque pagine, le più belle, le più intense, le più angoscianti…L’angelo caduto è l’arcangelo Gabriele, sconfitto e ferito a morte da satana in persona. Nel dipinto sul soffitto è testimoniata una delle ultime scene quando Gabriele prova a rialzarsi un’ultima volta prima di cadere definitivamente…Vuoi proprio sapere come finisce? Gli angeli, rimasti senza guida, combattono fino allo stremo, ma alla fine vengono sopraffatti dall’orda di demoni incitati da Lucifero. L’universo intero cade nel caos e Dio stesso viene spodestato. Uno scenario apocalittico, triste sicuramente ma, forse, quello che meglio preannuncia la fine che l’umanità è destinata a fare!”. “Bel finale”,dissi:"Bel finale di merda"pensai tra me; mi pareva incredibilmente scontato e prevedibile ma, evidentemente, a lui era piaciuto o, magari, il libro era scritto così bene da potersi permettere un finale poco originale. Non avrei mai detto che, uno come Riberti, potesse interessarsi ed emozionarsi per cose del genere; eppure quasi la voce gli tremava quando mi raccontava la storia, o pronunciava il nome di Meiosi. Lo guardai un po’ scosso e sorpreso