Valle dei pensieri

La scelta...dal mio libro!


“Sediamoci”, disse, con la voce rotta dal turbine di emozioni negative che si portava dentro, e si mise seduta di lato, su di una panchina di marmo ruvido che era attaccata al parapetto, fatto dello stesso materiale. Si mise a guardare l’orizzonte e il mare e il sole che tramontava. Sospirò e poi, voltandosi verso di me con gli occhi lucidi, mi prese le mani e disse: “Il sole sta tramontando. Tramonta proprio come la nostra storia…nel bigliettino ti ho scritto che oggi avresti dovuto prendere una scelta, ma, sai?C’ho pensato per tutto questo tempo, ci penso da un mesetto in realtà, ma non te l’ho mai detto. Non so il perché, forse perché ero convinta che l’immenso amore che provavo per te sarebbe bastato, come al solito ,a far sparire tutti i miei dubbi o forse,semplicemente,per vigliaccheria. Il punto, comunque, è che alla fine ho scelto io, per una volta, ho scelto io e ho deciso per me stessa, per il mio bene!”. D’un tratto smise di parlare, tornò con lo sguardo verso il sole che ormai era quasi completamente “annegato” nel mare, un po’agitato. Le onde si frangevano, prepotentemente, sugli scogli che si trovavano pochi metri sotto la panchina sulla quale eravamo seduti. Dal tremore delle sue labbra, capii che stava per riprendere il discorso e che, adesso, arrivava la parte più difficile. Le sua mano destra lasciò la mia e si rifugiò con un movimento delicato e ,al contempo nervoso, tra i suoi capelli neri mossi dal vento. Era un gesto, quello, al quale ero abituato:un movimento che faceva quando era nervosa, o meglio, quando era disperata, e, in quel momento, mi resi conto che ultimamente era diventato un gesto troppo ricorrente. Ma il fatto preoccupante era che quel gesto, ora che ci riflettevo, era sempre stato scatenato dal mio atteggiamento, mai da cause esterne. Avevo paura di guardarla, così abbassai lo sguardo e miei occhi si soffermarono su di una gomma da masticare appiccicata alla panchina. Una cosa comunissima ma, da quel giorno, ogni volta che vedo una gomma attaccata su di una panchina, o sull’asfalto, penso al nostro addio, a quei suoi ultimi sguardi, a quel nostro ultimo bacio, e una tristezza infinita mi prende. Lo so, può sembrare una cavolata, ma ci sono particolari di solito insignificanti che, se colti in una circostanza importante, ti rimangono dentro per sempre e, ogni volta che li rivedi, ti ricordano la situazione particolare durante la quale li hai notati.Io, comunque, continuavo a starmene muto, in attesa che lei sferrasse il suo colpo! Continuavo ad osservare la gomma grigio-scura che avevo a pochi centimetri dalla mia scarpa; ero seduto lateralmente, con il profilo rivolto verso il mare e la gamba destra piegata. Il tallone che mi sfiorava l’inguine. Passò qualche altro secondo di insopportabile silenzio, prima che lei si decidesse a finire ciò che aveva cominciato: abbassò la testa, voleva nascondere le lacrime che però io avevo intravisto un attimo prima e,con la voce rotta dal pianto,aggiunse “C’ho voluto credere Daniele, fino all’ultimo istante c’ho provato. Ho provato a capirti, ad aspettarti, ad amarti nonostante tutti i tuoi misteri, le tue contraddizioni, i tuoi scatti d’umore. Probabilmente avrei continuato a farlo per chissà quanto altro tempo, chissà quanti altri giorni e mesi e magari anni avrei sprecato a piangere per te, per quel “noi” che non è mai stato tale; aspettando un tuo cambiamento o, almeno, una tua spiegazione che avesse un minimo di senso, che non fosse quella di un ragazzino troppo egoista e troppo timoroso. Scappare dalle scelte importanti, non fa che rimandarle e renderle ancora più difficili”. A questo punto la interruppi, le presi il viso tra le mani e, dopo una sua iniziale resistenza, riuscii a far in modo che potesse guardarmi negli occhi. Avrei voluto dirle tutto, raccontarle della mia ex moglie, di quello che avevo passato, del rapporto che prima avevo con le donne, dell’amore che provavo per ognuna di loro un tempo. Di quanto ne ero affascinato. Adesso, invece, l’unica cosa che riuscivo a provare per una donna, era interesse distaccato, o meglio, semplice curiosità. L’ammirazione, la visione cinematografica e fiabesca che avevo del mondo femminile, si erano tramutatate in qualcosa di molto più superficiale e, di conseguenza , di molto più vicino alla realtà. Era assurdo che in due anni non le avessi mai parlato della causa dei miei e dei suoi patimenti, delle mie indecisioni, del mio “blocco affettivo”. Gli argomenti “blocco psicologico” e “incapacità di avere una storia seria”, erano balzati fuori un’infinità di volte, come è facile intuire, ma, ogni volta, ero stato vago ed evasivo e sfuggente e risoluto anche. “O così,o niente”,le avevo ripetuto una miriade di volte e tutte le volte, fino a quel momento, aveva prevalso il “così”sul “niente”.