Valle dei pensieri

Racconto


Gocce d'uominiLa macchina emetteva una miriade di preoccupanti cigolii.La streghetta di pezza attaccata al parabrezza dondolava, preda di un’inerzia oziosa, al sobbalzare dell’auto. Il mio sguardo perso, diretto nel vuoto, riempito esclusivamente delle goccioline di pioggia che incessantemente si posavano sul parabrezza e che poi venivano impietosamente cancellate, spazzate via dal tergicristallo. Tornai per un attimo bambino: ricordai quando, seduto al lato passeggero o sul sedile posteriore, restavo incantato a guardare quelle goccioline, alcune piccole, altre più grandi che, con frequenza sempre variabile, si schiantavano senza possibilità di scelta sul vetro e poi venivano lavate via da altre gocce o dal tergicristallo stesso. Il rumore e il movimento perpetuo del tergicristallo erano ipnotizzanti, o almeno a me facevano provare la strana sensazione di quando non riesci a smettere di perderti nell’osservazione di qualcosa; resti lì, con lo sguardo e l’attenzione puntati su quella cosa che, nonostante la sua semplicità cattura la tua attenzione. Mi resi conto, riflettendoci, che noi infondo non siamo poi tanto diversi dalle gocce di pioggia che si suicidano sui parabrezza delle auto: ci mettiamo in gioco lanciandoci nel vuoto alla ricerca e alla conquista di qualcosa. Poi, inevitabilmente, prima o poi, ci schiantiamo su quel parabrezza che è la realtà e veniamo, in fine, cancellati da quel tergicristallo che è la morte. E’ un ciclo continuo, imperituro; non da scampo e pare funzioni bene perché, così, c’è sempre spazio per nuove gocce che nascono e muoiono proprio come gli uomini, ma, fortunatamente, noi abbiamo un minimo di scelta: possiamo cercare di cadere dove desideriamo anche se, il più delle volte, cadiamo proprio dove non avremmo voluto. Sono bloccato nel traffico da un bel po’; ormai il grigiore del tempo ha invaso anche me.Il cielo si dimostra sempre sorprendentemente solidale con le turbe del mio animo e prende per mano le mie emozioni.Sì… sì…Siamo proprio in sintonia io e il cielo. La malinconia poi aumenta se penso alla macchina con la quale vado in giro (una panda 750 rossa del 89): è un autentico catorcio ma infondo ci sono troppo affezionato per rottamarla. Era di mia nonna e quando ci sono dentro sento che lei, da dove è ora, mi guarda e mi protegge. E’ come se avessi una sorta di seconda assicurazione gratuita e mi sembra un peccato non usufruirne, dati i tempi. Ah, ecco finalmente qualcosa inizia a muoversi: l’ingorgo si scioglie e io cerco di far funzionare il vecchio cambio capriccioso per passare dalla prima alla seconda. Mi manca l’estate, mi mancano le gite in moto, mi manca il sole che ti brucia la faccia e che non si decide a tramontare se non dopo le otto di sera, ma soprattutto mi mancano i Natali trascorsi da figlio unico con i miei e mia nonna. Vorrei tanto risentire quegli odori, rivedere le pareti, i giochi di luce, la penombra dei corridoi che i muri color confetto e i raggi del sole creavano; rivivere quell’ atmosfera. Mi mancano le escursioni in moto con mio padre e il rumore dei passi di mia nonna che non ho mai dimenticato; a volte credo ancora di poterli sentire. Vorrei, insomma, regredire a quando tutte le cose erano semplici, non c’erano progetti, sogni, doveri e soprattutto a quando non c’era l’amore, non c’era il sesso, non c’era nulla che implicasse legami con il resto del mondo. Perché? vi chiederete voi.Beh, perché tutte queste cose finiscono, inesorabilmente con l’inibire la nostra possibilità di scelta ed è cosi che, gli uomini, diventano identici alle gocce di pioggia sul parabrezza.