Valle dei pensieri

Il nuovo modo di ragionare e giudicare le differenze culturali


Oggi ci si diverte tanto a mostrarsi paladini di uguaglianza e tolleranza; ci si erge a sommi difensori delle minoranze(finendo poi con il voler imporre il modus vivendi di queste minoranze anche a chi non è in grado di comprenderlo) e si elargiscono con disarmante generosità una serie infinita di ovvietà concettuali ed idealistiche. Noto con sconforto che si tende inesorabilmente alla reificazione della cultura e all’imposizione della ingenua e contraddittoria teoria relativista del mondo sociale. La psicologia culturale, tanto cara a lungimiranti uomini come il docente universitario Giuseppe Mantovani, fatica ancora a prendere piede nonostante la valenza intrinseca che inconfutabilmente dimostra. Questo perché? La risposta è, a mio avviso, piuttosto semplice: il relativismo, infatti, figlio di una filosofia di vita semplicistica e profondamente ipocrita, attecchisce con più facilità nelle menti dei finti dotti e del loro annichilito seguito in quanto, rinunciando totalmente alla propensione verso la verità(o realtà), si limita ad esortare a non esprimere giudizi e si rassegna ad accettare ogni atteggiamento, ogni valore, ogni credenza come una manifestazione della diversità umana. "La psicologia culturale, al contrario, non rinuncia affatto alla tensione verso la verità"(cit. Mantovani) e, aggiungerei, al giudizio; solo che è conscia del fatto che, ognuno di noi, accede a questa verità e segue determinati valori utilizzando strumenti, esperienze, categorie e pratiche che sono attribuibili allo sfondo storico e socio-culturale nel quale è vissuto. Se ci riflettete, infatti, una teoria relativista dura e pura, non sarebbe in grado di dire che cosa ci sia di sbagliato neppure nel genocidio degli Ebrei. Se ogni scelta è libera, se ogni aspetto dell’agire umano è giustificabile con il fatto che siamo diversi e che, le nostre decisioni, vanno rispettate in quanto dettate dalla diversità intrinseca tra gli uomini; essendo nessuno in grado di determinare cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, allora anche Hitler, per assurdo, potrebbe essere assolto dai suoi crimini. La falsa, ipocrita e irrealizzabile morale del non giudicare mai, dovrebbe lasciare il posto a quella che invita ad un “realismo (culturalemente)mediato”(cit. Mantovani) e, cioè, ad un giudizio(in quanto l’uomo è irrinunciabilmente spinto a catalogare, etichettare e inquadrare all’interno di un contesto preciso, la realtà in cui vive)che sia non inibito, ma guidato e depurato dall’etnocentrismo, dalla antica concezione del West against the rest e, appunto, dall’ossimorica tolleranza-intollerante della quale sono orgogliosi fautori certi rappresentanti dell’estrema sinistra. Per concludere il post con un pensiero di Mantovani, la psicologia culturale è:” Incessante ricerca della e delle cause da difendere, come quella di salvare una donna musulmana dalla lapidazione; nello stesso tempo, costante esortazione a depurare le nostre posizioni dalle scorie dell’etnocentrismo che ottunde il nostro senso critico e ci fa scambiare per unico e assoluto il nostro peculiare, situato, culturalemente mediato modo di vedere i .” Questi, in sintesi, sono il mio pensiero e la mia filosofia di vita...e di giudizio