Dislessia

Il patron di Robe di Kappa: “Dalla dislessia alle sliding doors. Sono un uomo fortunato”


Marco Boglione, ad Asti per ricevere il Premio Borello della Fondazione Giovanni Goria, racconta la sua vita dall’adolescenza in collegio ai primi passi nel mondo imprenditoriale.
di: Laura Seccifonte: La Stampa Dalla bisnonna imprenditrice a soli 13 anni, passando per un’adolescenza a Bra segnata prima dalla dislessia e poi da un riscatto familiare e sociale conquistato negli anni di collegio. A seguire un melting pot di intuizioni, incontri casuali afferrati da un’audacia intelligente, difesa dai tanti che la chiamavano pazzia. In mezz’ora e poco più, Marco Boglione, patron di BasicNet (e dei marchi Robe di Kappa, Superga, K-Way, per citarne alcuni) ha sintetizzato gli ultimi cinquant’anni di una vita degna di un film, con l’aria e il sorriso umile di chi «è stato un ragazzo fortunato».   «A chi mi chiede quale considero come la più grande fortuna della mia vita, rispondo senza esitazioni: fare quello che desideravo fin da quando avevo 12 anni. Ero uno dei pochi che da grande non avrebbe voluto fare il calciatore, ma l’imprenditore - esordisce Boglione, ieri ad Asti per ricevere il Premio Borello. Il riconoscimento organizzato ogni anno dalla Fondazione Giovanni Goria rivolto a protagonisti di spicco dell’economia italiana e internazionale -. Quando, stanco di essere considerato un “bimbo cattivo” per i miei problemi di apprendimento causati dalla dislessia chiesi di essere mandato in collegio, lì iniziai la mia piccola carriera imprenditoriale».   «Amavo la fotografia - ha proseguito - e avevo captato quale fosse il bisogno dei ragazzi: avere due lire in tasca. Così chiesi ai preti di farmi vendere le foto scattate e sviluppate da me ai ragazzi i quali, a loro volta, le avrebbero rivendute a prezzo più alto ai genitori. Funzionò alla grande». In seguito, frequentò per qualche anno il Politecnico di Torino ( “mi iscrissero i miei genitori ma furono anni bui”), si ritrovò a soli 25 anni a ricoprire un ruolo dirigenziale nella azienda Maglificio Calzificio Torinese.  “A salvarmi furono, come spesso nella mia vita, le “sliding doors”, il caso”. L’incontrò con Maurizio Vitale, figlio (orfano) del fondatore del Maglificio, azienda specializzata in magliette della salute e mutande Kappa. Erano gli anni della guerra in Vietnam e della contestazione. “La svolta arrivò quando John Lennon indossò la t shirt verde militare di un soldato morto. Da quel momento esplose la moda militare. Il mio amico Maurizio aprì i magazzini, prese tutta la merce bianca e beige e la fece tingere di verde. Un successo. Il dirigente di allora dell’azienda, perplesso, chiese come avrebbero dovuto chiamare la linea di “quelle robe lì”, tinte di verde”.   La risposta è storia: Robe di Kappa.   Da qui poi le tante intuizioni, come quella di far indossare le maglie con l’omino simbolo della Kappa ad una squadra di calcio. La prime fu la Juventus. Era il 1978. “Non esisteva ancora un’idea precisa di cosa fosse la sponsorizzazione - ha spiegato Boglione -. Il regolamento Fifa infatti non prevedeva nulla a riguardo. Fummo i primi”. Lasciato il Maglificio Torinese dopo la malattia dell’amico Maurizio (“fu lui a consigliarmi di dimettermi dalla dirigenza per fare l’imprenditore”), fondò con la Mototaxi e la Football Sport Merchandise. “Riniziai da zero, in un garage. Con me c’era solo la mia segretaria storica al Maglificio che poi divenne la mia prima moglie e la madre dei miei due figli”. A giocare un ruolo fondamentale, nei primi Anni 80, anche la capacità di Boglione di capire le potenzialità di internet, dei pc, di quei coetanei, che si chiamavano Bill Gates e Steve Jobs, di cui condivideva il sogno di un mondo che viaggia sul web.   Con la morte dell’amico Vitale e il fallimento del Maglificio Torinese, Boglione decise che doveva fare qualcosa per far risorgere quell’azienda che aveva segnato la sua svolta da ragazzo. Cosa? Realizzare l’acquisizione del Maglificio da parte della Football Sport. Il passo non era semplice, mancavano i fondi. “Le banche mi dissero che era una missione impossibile e che, in sintesi, ero un pazzo, uno che si era montato la testa”.   Ma qualcuno decise di credere nel suo progetto. Luciano Benetton, che assieme ad altri due imprenditori cinesi, finanziarono l’acquisto.   “Nel ’99, quando ci quotammo in borsa, decisi che era mio dovere fare qualcosa per restituire alla società una parte della fortuna avuta”. Prima fondando la Film Commission Piemonte, poi con il sostegno alla ricerca sul cancro.