Bambina Indaco

Da dove comincio?


Da che mi ricordo di essere al mondo (in questa vita), pensieri profondi e filosofici mi hanno accompagnata, seguita, rincorsa e a volte persino tormentata. Quando ero bambina, nella solitudine della mia cameretta di figlia unica ero solita passare ore e ore immersa nei miei pensieri; immersa nel profondo della mia anima cercavo le difficili risposte alle impossibili domande che eppure, mi ponevo. Da dove veniamo? Qual è il mio compito qui? Chi ero prima? Esistono altri mondi? Altri universi? E se la terra non fosse altro che un granello di polvere, infinitesimamente piccola e breve… E se la vita fosse tutta un’illusione?.. Se la materia fosse tutta un’illusione? Giocavo a Barbie e nella testa mi frullavano queste e altre domande ancora. A volte m’immergevo nei miei pensieri tanto profondamente da non accorgermi di nulla quelle volte che mia madre entrava in camera per vedere “se ero viva”, perché non mi sentiva nemmeno fiatare. Mi vedeva lì, intenta a riflettere e si rallegrava di avere una bambina tanto tranquilla. La domenica mattina mi piaceva svegliarmi presto e restare nel letto a leggere i miei libroni illustrati. Uno dei miei preferiti era la storia dell’antico testamento, dove si narrava di Mosè e delle sue tavole della legge, oltre che del grande diluvio universale. Ricordo anche che su quel libro era ben espressa una certa connessione con l’antico impero egizio e le origini della religione cristiana. Un giorno a scuola, decisi di parlarne con Adriana che era la mia più cara amica di quel tempo. Dato che ci dicevamo tutto avevo dato per scontato di poterle raccontare anche questo, senza contare che ero assolutamente convinta che certi pensieri non fossero una mia prerogativa. Le raccontai delle mie mille domande e di quali risposte ero riuscita a trovare, speranzosa di poterle confrontare con le sue. Le parlai di esseri che secondo me avrebbero potuto, in tempi remoti, arrivare da altri pianeti (ero particolarmente fissata su Marte e Venere) e infondere la vita sulla terra, a seguito di esperimenti che ancora non sapevo definire “genetici”. Le raccontai del Karma, al quale ero arrivata partendo dal chiedermi come mai ero nata a Milano in una famiglia agiata e non in Africa, a morir di fame. I miei ragionamenti mi avevano portato in età elementare, a comprendere la giusta legge della causa/effetto e a cercare di metterne in pratica gli insegnamenti. Fu allora che mi imposi di essere sempre gentile con tutti. Adriana rise, soprattutto della storia dell’Africa. Si disse felice di non dover soffrire la fame e probabilmente raccontò i miei pensieri a sua madre, cattolica convinta, perché qualche tempo dopo mi proibì di frequentare sua figlia. Non so per quale ragione non mi venne mai in mente di fare questo tipo di discorsi con qualche adulto. Questo, passati oltre vent’anni, continua a dispiacermi profondamente. Mia madre si era comunque accorta della mia “profondità d’animo” e per quello che le fu possibile non cercò mai di nascondere il mio vero animo sotto una coperta di preconcetti e per questo non la ringrazierò mai abbastanza. Quando avevo sedici anni mia madre è morta. È stata portata via da un brutto male che aveva combattuto strenuamente per alcuni anni ma che poi, nonostante la sua forza di volontà, ha avuto il sopravvento. Io ero diventata un’adolescente calma e tranquilla, poco incline alle pazzie e sempre molto pensierosa. Lo shock causato dalla perdita di mia madre mi fece prevedibilmente cambiare in modo brusco. Per un anno mi sono sentita oscura e probabilmente è stato giusto così. È stato in quell’anno che mi sono allontanata definitivamente dalla chiesa. Soltanto grazie a quel momento tanto duro sono riuscita a guardare in faccia la realtà e cioè che la metà degli insegnamenti che ascoltavo la domenica mattina non mi convinceva per niente e a volte mi sembrava addirittura tutto una stupida invenzione. Nessuna risposta che fosse sensata per il mio spirito, soltanto molta materialità, egoismo, o forse meglio dire buio. C'erano momenti che avevo voglia di alzarmi in piedi e gridare al prete la mia versione dei fatti, che era sicuramente più giusta e congrua della sua. Prima di tutto, non ho mai sentito nessun prete citare il karma, che per me era una certezza assoluta (e lo è tutt’ora); inoltre non riuscivo a mandar giù di dover ubbidire a gente che nel vero senso della parola “predicava bene e razzolava male”, primo fra tutti il discorso della «povertà» tanto professata dalla chiesa stessa. Insomma, siamo anime intrappolate nella materia, la materia è la cosa dalla quale ci dobbiamo staccare (assieme a tutti i vizi che essa comporta) durante lil ciclo delle nostre vite perché solo staccandoci dai beni materiali potremo ricongiungerci alla Luce (o Dio), che è puro spirito e puro amore. Questo avevo capito io. Questo la chiesa non ha mai menzionato. Staccarmi da un ideale che mi era stato inculcato fin dai primi mesi, nonostante tutto non è stato semplice, anche se nella mia mente ci ero già arrivata. Il cristianesimo, come le altre religioni monoteiste, è dotato di una serie di castighi e punizioni terribili per tutti quegli esseri pensanti che tentano di mettere in discussione la sua parola. È così da sempre e questo (la paura dell’inferno) è uno dei tanti modi che ha avuto a disposizione la chiesa per assicurarsi fedeli non pensanti, che quindi non potessero mettere in discussione la sua “potenza”, soprattutto politica. Insomma, mi è parso chiaro fin da subito che era tutto molto più umano che divino. Passato il primo momento di tormenti psicologici, durante i quali non mi piaceva la definizione “atea” ma tantomeno quella di “cattolica” è successo qualcosa di estremamente speciale che mi ha messa sulla giusta strada. Ho visto Lei, ho visto mia madre. Ricordo che stavo seduta a letto una mattina in settimana. Avevo bigiato scuola per restare a casa e ascoltare musica. Lo stereo era acceso e io tenevo sulle gambe incrociate un libro o forse una rivista. Avevo appena spento una sigaretta (che all’epoca fumavo di nascosto). Ad un tratto mi trovai supina (ne sono certa perché potevo vedere il soffitto), senza ricordarmi di aver assunto quella posizione (anzi, per la verità mi sentivo ancora seduta a gambe incrociate). Nelle orecchie si è fatto strada un ronzìo sempre più forte e sinceramente fastidioso e ho percepito chiaramente un rumore di passi seguito da un chiarissimo rumore di stoviglie, tanto che razionalmente, avevo pensato che fosse arrivata mia nonna ed ero pure spaventata perché avrebbe potuto trovare il mozzicone di sigaretta nel portacenere. Decisi quindi di chiamarla (per accertarmi che fosse lei, perché dai passi mi era sembrata mia madre e la cosa era “impossibile”) ma la voce non mi uscì. Non mi si mossero neppure le labbra. Panico. Fu allora che cercai di muovermi per alzarmi dal letto ma il mio corpo non rispose. Era diventato pesante, e io non potevo far altro che restare immobile come un sasso. L’immagine più chiara che mi viene in mente per descrivere quello che ho provato in quel momento è quella di una persona che si sveglia all’interno di un sarcofago e si agita stretta in quello spazio angusto. Ecco, io “dentro” ero sveglia, agitata e spaventata. Dentro mi dimenavo. Fuori ero ferma, sdraiata immobile, con gli occhi chiusi, o almeno questo è quello che ho percepito. Sentivo “qualcuno” avvicinarsi a me e ne ero terrorizzata. Inoltre il ronzìo aumentava e le orecchie mi parevano esplodere. Dopo aver fatto uno sforzo immenso ricordo d’essere riuscita a spostare un braccio e farlo penzolare giù dal letto. Ho toccato qualcosa e quel qualcosa a me è sempre sembrata una gamba rivestita di pile, quel materiale plastico estremamente caldo che si usa d’inverno. Mia madre fu sepolta con addosso un paio di pantaloni di quel tessuto. Questa cosa non l’ho mai capita, perché dato che era morta avrebbe dovuto presentarsi sotto forma di spirito. E allora cos’ho toccato? Su questo sto ancora lavorando… Comunque, lo spavento di aver toccato qualcosa che fino a qualche istante prima non c’era (ne ero certa) mi fece fare quello sforzo in più che mi permise finalmente di aprire (spalancare) gli occhi. È stato un attimo, è stato davvero un batter d’ali di farfalla. Ma l’ho vista. Ho visto il suo viso sorridere esattamente sopra il mio e un istante dopo è passato tutto. Un istante dopo ero nuovamente seduta a gambe incrociate e potevo sia muovermi che parlare. Sentivo ancora la radio (che per il tempo che sono rimasta in quello stato pareva tacere) e avevo il cuore che pompava a mille. Sono rimasta non so per quanto tempo in silenzio a fissare il muro ripercorrendo quegli istanti che non so dire se siano durati un secondo oppure un’ora. Dopo quella volta è successo altre due volte, durante le quali mi sono persino sentita sollevare. Ho avuto molta paura, non posso nasconderlo. Così tanta che le volte successive, appena percepivo l’ormai familiare ronzìo (che precedeva sempre l’arrivo di quella “sensazione”) avevo trovato un modo per “respingerlo”. Ora me ne dispiaccio molto, perché adesso so con cosa ho avuto a che fare. Purtroppo (o per fortuna) adesso non capita più perché Lei è tornata sulla terra due anni fa, ma l’evento che ho raccontato ha rappresentato per me una spinta, un primo gradino da superare per continuare a percorrere quel cammino che mi vedeva sprofondare nei miei pensieri filosofici da bambina e che poi, con l’adolescenza e la rabbia, avevo iniziato a dimenticare. Dove sono arrivata? Bèh, continuo a percorrere il mio cammino giorno dopo giorno e mi accorgo che la strada indicata dal “caso” (che non esiste) mi conduce sempre nei posti giusti. I “posti” di cui parlo sono libri, perché come da bambina, sono ancora convinta che (a meno chè non si abbia a disposizione un vecchio saggio da interpellare a proprio piacimento) le giuste risposte si possano trovare solo sui giusti libri (oltre che dentro di sé). L’importante (almeno per me) è non farmi condizionare dalle idee degli altri e seguire soltanto il mio istinto. Ma questi "posti" sono anche persone e situazioni. Sono arrivata a raggruppare una serie di informazioni tale da non poter essere più stipata nella mia mente, almeno se non voglio fare confusione. È arrivato il momento di cercare di scriverne e provare a fare ordine tra i miei pensieri. Ma chissà quanta strada ancora avrò da fare.