Bambina Indaco

SULLA SCOMPARSA DEI (miei) SOGNI. SULL'11-09-01


Viaggiare in aereoplano mi faceva sentire bene. In poco più di un ora percorrevo mille chilometri leggendo il giornale, scrivendo i miei pensieri e sorseggiando quell’orrido caffè liofilizzato che però a me è sempre piaciuto molto. Arrivavo a destinazione rilassata, carica di energia e con ancora il trucco intatto (all’epoca ci tenevo molto…). Inoltre, l’aereo mi dava quel senso di autosufficienza che nella vita ho sempre cercato, soprattutto quando affrontavo i miei viaggi da sola senza aver bisogno dell’aiuto o del passaggio di nessuno. Il mio primo volo l’ho affrontato proprio da sola quando avevo 17 anni. Prima di allora di aerei non ne avevo voluto mai sentir parlare; “magia nera!”, dicevo ad un cugino pilota che tentava di farmi amare il volo ogni volta che ci vedevamo… Poi, l’estate del ’96, dovevo decidere se affrontare uno strenuante viaggio di ferragosto in auto from Puglia to home (e per di più con mio padre, famoso perchè non si ferma mai, nemmeno per una pipì) per arrivare in una Milano deserta e senza amici (ancora tutti in vacanza), oppure prolungare la mia vacanza di tre settimane e … tornare da sola con l’aereo pochi giorni prima che iniziasse la scuola… «Sarei una stupida a tornare a Casa solo per non prendere l’aereo», ricordo d’aver istintivamente pensato… E così mi sono fatta coraggio e ho lasciato che mio padre tornasse da solo. Mi ricordo che il suo viaggio fu infernale e che ci mise più di dodici ore per raggiungere Milano. Poi arrivò il giorno della mia partenza e io non potevo certo far vedere a tutti i miei amici di voler scappare (sono un toro con l’ascendente in leone, dopotutto…); andai verso l’aereoplano con grande paura ma con passo deciso. Salii la scaletta malefica (avevo i tacchi, il borsone che pesava e i gradini erano profondi non più di 5 centimetri!), ricambiai il sorriso ad hostess e stuart e senza nemmeno chiedere informazioni mi diressi verso il mio posto. Non avevo molta strada da fare dato che mi era stato assegnato il posto 1-A. Me lo ricorderò sempre, perché avevo letto in precedenza che in caso di collisione il passeggero del posto 1-A sarebbe stato quello con meno probabilità di sopravvivanza. Panico! Ma mica potevo mostrarlo… Mi accomodai seria accanto al finestrino sperando che non mi si sedesse nessuno accanto. Non avevo assolutamente voglia di chiacchierare, né tanto meno di mostrare a qualcuno che me la stavo facendo sotto. Fortunatamente il posto accanto al mio restò vuoto, ma quello successivo venne occupato da un uomo d’affari che non fece in tempo a sedersi che aveva già acceso il pc portatile. Menomale, uno che si faceva i cavoli suoi. Non l’avrei retta una signora di mezza età con Novella 2000 in mano. La rappresentazione delle hostess su cosa fare in caso di incidente catturò completamente la mia attenzione (negli anni l’ho anche imparata a memoria con tanto di gesti, esattamente come avevo fatto da piccolina con l’intera Messa della domenica), tanto da non accorgermi che l’aereo si era messo in moto. Quando i tre minuti d’attenzione per seguire le regole di sicurezza fondamentali per l’abbandono dell’aereomobile finirono mi accorsi che ci stavamo muovendo. Dopotutto non pareva male, andava piano e da quell’altezza si vedeva il mare. Poi si fermò all’improvviso e sentii un rumore poco rassicurante (le turbine dei motori spinte al massimo): «Scivoli armati – prepararsi al decollo». Scivoli armati?! … L’improvvisa accelerazione successiva mi fece quasi piangere dallo spavento e quando iniziò il decollo infilai le dita (non avendo unghie) nel bracciolo. Poi vidi ancora meglio il mare… gli ulivi, i piccoli borghi completamente bianchi e le strade sterrate che li univano, le macchinine colorate che sembravano giocattoli, le isole Tremiti circondate da acqua cristallina… e poi le nuvole… rosse, arancioni, rosa, viola e azzurre che mi tolsero il respiro. Fu un tramonto continuo da Bari fino a Firenze (dopo il sole calò) e io non staccai mai il naso dal finestrino. Alla fine ero estasiata anzi, innamorata di tutto quello che avevo visto e desiderosa di ripetere quell’esperienza al più presto. I miei voli me li sono sempre prenotati tra le cinque e le sette di sera, a seconda delle stagioni e non era un caso. Da quella volta è stato amore spassionato, tra me e l’aereoplano. Negli anni ho superato brillantemente vuoti d’aria pesantissimi, fulmini accanto all’ala e un atroce dolore alle orecchie a causa di una malsana pressurizzazione e via così fino al 2000. Ricordo bene che tutto è cominciato verso la metà del 2000 perché a Bari era appena nato mio fratello e in quel periodo viaggiavo in aereo almeno quattro volte al mese (tra andate e ritorni) per andare a trovarlo. Di anni ormai ne avevo ventuno e dal mio primo viaggio avevo acquisito sicurezza e padronanza. Non so come all’improvviso, nei miei sogni qualcosa cominciò a girare storto. Non ricordo quale fu la storia del primo sogno o quale aereo cadde per primo, ma so che quasi all’improvviso nei miei sogni, ogni notte un aereo precipitava, esplodeva in aria, si schiantava da qualche parte o effettuava rumorosissimi atterraggi di fortuna da qualche parte vicino a me. Potevano essere aerei vecchi, tipo quelli della seconda guerra mondiale come aerei nuovi di pacca, potevano essere enormi Boeing come minuscoli ATR… mai nessun elicottero però, soltanto aerei. Non era sempre lo stesso sogno che si ripeteva, i sogni erano sempre diversi. Erano sogni normali, belli… erano i miei soliti sogni con la differenza che l’aereo arrivava all’improvviso disturbando la mia quiete. In qualsiasi sogno, anche se non c’era nulla che potesse condurre il mio cervello a pensare ad un aereo. Ad esempio, potevo essere in montagna appesa ad una roccia come in mezzo al mare, contenta e impegnata a far pesca subacquea. Potevo essere a casa di amici come in qualche posto strano e misterioso ma quando alzavo lo sguardo al cielo vedevo un aereo. Lo seguivo per un po’ con lo sguardo fino a chè mi accorgevo che iniziava a precipitare. A volte invertiva bruscamente la rotta, altre volte avevo invece l’impressione che perdesse improvvisamente l’uso dei motori. Lo vedevo scendere sempre più veloce in picchiata e sentivo il rumore stridente e assordante dei motori che si avvicinavano; quello dello schianto (le volte che cadeva a terra) è così impresso nel mio cervello che non potrò scordarlo mai. Come anche l’odore che c’era nell’aria quando mi avvicinavo alla carcassa dopo lo schianto. Era tutto reale. Provavo una terribile sensazione di impotenza mista a terrore e mi sentivo piccolissima di fronte a questo gigante di lamiera accartocciata. • 11/9/01 In quel periodo lavoravo in un giornale sportivo e il mio ufficio era al 6°piano di un palazzo di via Vitruvio, a Milano… a fianco al Pirelli, quasi in faccia alla stazione centrale. La mia stanza era dotata di un grande terrazzo assolato che dava proprio sulla stazione, a sinistra nella visuale. La mattina dell’undici settembre, come al solito sono uscita sul terrazzo a fumare una sigaretta e riposare gli occhi tra un impaginato e l’altro. Era una bella giornata di sole e in lontananza si vedevano le montagne; scrutando il cielo ho visto la scia di un aereo. Ho istintivamente pensato qualcosa tipo: “No, éh?!”… Poi ho visto l’aereoplanino (“ino” solo perché era piccolissimo da vedere) passare in prospettiva dietro ad un palazzo alto che svettava li davanti e mi sono chiesta (testuale): “chissà… se dovesse sbattergli contro, in quanto tempo mi arriverebbe l’onda d’urto”… Insomma, ero ormai troppo tempo che li sognavo, non avrei potuto pensare altrimenti. Poche ore dopo il primo aereo ha colpito la torre Nord del World Trade Center. La prima notizia che ho sentito quasi in real time alla radio parlava di un incidente e a me è presa una bruttissima sensazione. Il nostro direttore aveva intanto acceso la televisione e siamo andati tutti nel suo ufficio a vedere le breaking’news della BBC. Il secondo aereo l’ho visto in diretta e giuro, non cambiava nulla rispetto ai miei sogni. Nulla, tranne il fatto che non mi è potuta giungere l’onda d’urto. (Hai per caso visto Fahrenheit 9/11 di Roger Moore? Lì ho risentito nitidamente anche lo stesso rumore dei motori). Come mi sono sentita lo sai, perché ci siamo sentiti tutti allo stesso modo; però per me è stato comunque come vivere, anche se in televisione le stesse sensazioni che nei sogni già vivevo da un anno. Da quel giorno non sono più riuscita a ricordare nemmeno un sogno e giuro che mi mancano da pazzi.