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EduSphere - racconto arrabbiato in 6 puntate - cap. 5

Post n°30 pubblicato il 24 Novembre 2012 da duetalleri

 

EduSfere

Capitolo 5. Angeli Custodi


Silvia lavorava al Pronto Soccorso da quasi dieci anni e, nonostante i commenti maligni dei colleghi, non si faceva scrupolo di fermarsi sempre un po’ oltre l’orario. Aveva fatto il turno di notte e stava smontando, ma fu lei a ricevere la telefonata del Professor Enrico, intuendo immediatamente la situazione. Senza perdere tempo fece partire l’ambulanza ma raccomandò al personale di essere gentili con la signora e di non eccedere con i sedativi. Avrebbe trovato poi lei un modo per tranquillizzare la ragazza, ah come la capiva! Prima però doveva chiamare rinforzi. Ancor prima che l’ambulanza fosse di ritorno aveva provveduto ad allertare la dolce Rosita e la buona vecchia Alma. “Oh povera cara” aveva detto quest’ultima al telefono, “avevo sentito l’urlo disperato dall’altra parte dei giardini pubblici, ma avevo tanto sperato che non fosse una delle nostre!”.

Simona arrivò all’ospedale in pieno stato confusionale e continuò a piangere anche mentre le infermiere l’aiutavano a scendere accompagnandola in una cameretta appartata, dove già l’attendevano le tre donne che con fare esperto presero in mano la situazione. Rosita la prese per mano e la invitò a sedersi sul letto, Silvia le porse una tazza di thè bollente e Alma attendeva tranquilla su una poltrona un po’ in disparte, con un grosso pacchetto appoggiato alle ginocchia. Simona, ancora sconvolta, lasciava fare. Bevve l’infuso aromatico e si distese. Non riusciva a mettere a fuoco chi fossero quelle donne che si stavano prendendo cura di lei, ma si lasciava confortare dal loro aspetto vagamente familiare e dal fare materno. Sotto l’effetto dei tranquillanti, sprofondò in un sonno breve, ma denso e senza sogni.

“Bentornata, Simona” la salutò allegra Rosita quando, passata un’oretta, vide la giovane riaprire gli occhi, “va meglio?”

Simona si sentiva in effetti meglio, per quanto stordita, ma poi si ricompose nella sua mente l’immagine degli occhi del marito che la fissavano vacui.

“Enrico!” esclamò alzandosi di scatto a sedere.

“Sta bene, sta bene” la rassicurò Alma, accostandosi, “anzi si può dire che il Professor Enrico stia benone!”.

“Conosce mio marito? Mi conosce?” fece Simona guardandola con più intensità. Ricadde poi sui cuscini, stordita. “A dire il vero mi sembra di conoscervi tutte ma non saprei proprio dire se è vero o no. Non capisco più nulla, è tutto così confuso.”

“Non ci siamo mai presentate ufficialmente, ma ci siamo incontrate alla festa di inizio anno scolastico. Forse non ti ricorderai di noi, ma sicuramente ti saranno stati presentati i nostri mariti…mi chiamo Alma e sono la moglie del Professor Giuseppe; lei invece è Rosita, moglie del Professor Oreste mentre Silvia, l’infermiera che ha ricevuto la telefonata al Pronto Soccorso, è la moglie del famoso Professor Aristide, il Preside.”

Simona non parlò subito, rimase in silenzio a riflettere. Solo in parte rallentato dai sedativi, il suo iperattivo cervello aveva ricominciato a funzionare alla velocità della luce, incrociando indizi e tessendo ipotesi.

“Ommioddio” sospirò alla fine “voi sapete”.

“Sì.”

“Mi aspettavate!”

“Sì.”

“E non avete fatto nulla! Prima che succedesse, intendo...” c’era della disperazione nella sua voce, e Alma le rispose solo dopo averle costretta a bere un’altra tazza di thè bollente.

“Sono quindici anni che mio marito è Professore, Simona. Quindici lunghi anni in cui, una volta indossata la EduSfera, non è stato mai in grado di riconoscermi come sua moglie a meno che non si restasse entro le mura di casa. Quindici lunghissimi anni in cui non ho smesso un minuto di pensare a come fare a distruggere quella maledetta cosa e riprendermi mio marito. E a come fare per impedire che altri aspiranti insegnanti ne fossero vittima.” Alma sospirò, assorta in una sua vana lotta interiore.

“Ci avete provato?” Suo malgrado, Simona non riusciva a non provare affetto e solidarietà per quel terzetto un po’ male assortito, apparentemente accomunato solo dalla professione dei reciproci coniugi.

“Oh, sì, eccome. E’ per questo che siamo qui. Per cercare di convincerti che è inutile provarci ancora.” Era stata Silvia a parlare, ma Rosita subito aggiunse:

“Ti sei mai chiesta perché molti Professori sono soli, per quanto a loro sembra non gliene importi granché? Pochi sono quelli che non hanno mai avuto una compagna eppure, poco dopo essere passati a ruolo, rimangono soli. Non sono poche le donne che non reggono la situazione e scappano, ma molte di più sono quelle che la situazione non l’hanno retta sul serio. E il Ministero tace….”

Simona faceva fatica a seguire il discorso, ma quel nome della giovane le ricordava qualcosa. Qualche tempo prima se ne era parlato sui giornali, di una Rosita moglie di un Professore…Guardò il bel viso dal sorriso triste e finalmente la riconobbe.

“Sì, sono io. Mi hanno fotografato in lungo e in largo tre anni fa, quando con mia sorella ci ribellammo e cercammo di distruggere la EduSfera di Oreste. Ci diedero delle pazze. Quello che non dissero i giornali fu che mia sorella non è più qui a raccontarlo.”

“Ma è orribile!”

“Lo è, eccome, ma la parte peggiore non l’hai ancora sentita” interloquì Alma. “Guarda qui!”

Così dicendo tolse dall’involucro di carta da imballo un grosso album di fotografie e lo porse a Simona.

“Il sistema di Autoproiezione Imago inganna anche le macchine fotografiche, quindi nemmeno dalle fotografie è possibile essere certi se una persona stia indossando la EduSfera o meno. Guarda però gli occhi delle persone…ecco, qui, questo è Oreste, il marito di Rosita, prima di iniziare l’insegnamento. Vedi? Ha uno sguardo allegro e vitale. Guarda qui, invece. Quel luccichìo metallico nello sguardo indica che la Sfera è attivata: non è più Oreste ma il Professor Oreste. Ora guarda attentamente quest’altra foto. E’ stata scattata cinque mesi dopo che la sorella di Rosita, con il suo sacrificio, aveva distrutto la EduSfera del cognato.”

Simona rabbrividì nell’incrociare sulla carta stampata quello stesso sguardo gelido e vacuo che aveva conosciuto qualche ora prima.

“Vedo che gliene hanno fornita una nuova, in sostituzione di quella inutilizzabile”.

“E invece no.”

 

...continua…

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