parole sui vetri

quelle vie


La Piazza I° Maggio di Udine è un cantiere. Chiuse le strade che la attraversano, non rimane che prendere quella per la Stazione e poi un lungo giro per tornare indietro. Il traffico è lento. Non ho una fretta particolare e quindi non mi disturba neanche tanto lo stare in fila. Ho la radio che copre i rumori di fondo, i rari clacson di nervosismo, il martello pneumatico che sobbalza tra le mani di un operaio, venti metri più in là. Canto con Guccini “il vecchio e il bambino” e non sono distratto dalla gente che passa a piedi, da qualche vaffanculo a bocca spalancata e, probabilmente, da qualche dito medio alzato. Il serpente di macchine si ferma. Guardo davanti a me e nello specchietto di una golf chiara intercetto due occhi di donna. Proprio nello momento in cui lei lo usa per guardare dietro di sè. Restiamo così per un attimo con gli sguardi incollati. Si passa un dito sotto agli occhi, forse per stendere il fondotinta che, si sa, si rapprende sulle piccole rughe. Le ciglia sono ben delineate e gli occhi grandi, da cerbiatta. Resto fisso sullo specchietto. Lei si distrae un attimo per  togliersi dal vestito qualche capello. Li ha lunghi, scuri e lisci. Torna a guardarmi: vedo anche una porzione di fronte e la parte superiore del naso. Non sembra a disagio. Infila le mani nei capelli, poi lancia occhiate a destra a sinistra, ma alla fine torna lì… contro il mio sguardo che non la mollano. Stringo un po’ gli occhi, quasi dovessi metterla bene a fuoco e lei si abbassa per raccogliere qualcosa. Torna su. Ed io sono sempre lì. Guarda avanti qualche secondo, giusto il tempo di vedere se scorre un po’ la fila. Ma la fila è ferma. Mi mordo il labbro e, dai movimenti dei muscoli vicino agli occhi, capisco che sta ridendo. Probabilmente sta pensando che stia fantasticando su di lei, magari la stia immaginando a letto con me. Si passa la mano sul collo quasi a sistemare l’orlo del maglione e  comincia a muoversi come se stesse andando dietro ad un ritmo che la sua radio diffonde. Segue la musica anche con la mano, dando colpetti sul volante. La fila si mette in moto, piano. Gira alla prima via laterale. La seguo solo con lo sguardo. Lei incredibilmente inserisce i segnalatori intermittenti ed agita una mano per salutarmi. Rispondo al saluto e per un attimo mi vien voglia di seguirla, parcheggiare dove lei mi porta, conoscerla, magari invitarla a cena, baciarla, stringerla e e…. Scarto questa possibilità. No, non perché queste cose non è possibile che accadano, anzi. Solo perché la fila si è rimessa in moto ed io, perso nei miei pensieri ho già superato quella via. Chissà quante di "quelle vie" si perdono ogni giorno della nostra vita.