parole sui vetri

tornare bambino


Me ne torno a casa a piedi, dall’ufficio, sotto un sole che comincia a scaldare. Il silenzio è quello dell’ora di pranzo. Un pallone colorato rotola dal confine di un prato polveroso con la prima erba verde. Allungo un piede e lo fermo. Lo osservo e rivedo un nugolo di ragazzini di tanto tempo fa’ che instancabili correvano felici, senza problemi, senza pensare al futuro, alla ricerca di un goal che avrebbe colorato i loro sogni di notte. Ed io tra loro. “Signore mi tira il pallone?”Mi guardo in giro e lo vedo. 8 o 9 anni, immobile, come uscito da un cespuglio inesistente ,con una maglietta troppo lunga per lui e minuscole scarpe da ginnastica, un cappello rosso da baseball e magre ginocchia coperte da una tuta blu colorata del verde  dell'erba all’altezza delle ginocchia. ”Signore, per favore, il pallone!” Non c'è nessun altro, solo noi due e il pallone. Mi accorgo che è di plastica e non di cuoio e noto persino i segni dei calci che hanno tolto colore al disegno. E’ leggero come gli uccelli che corrono in un cielo che finalmente sembra azzurro. ”Signore, signore.... il pallone!” Alzo lo sguardo e fisso il bambino. C’è un profumo intorno di tempo fermato ed una luce lieve e serena. Tutto è immenso, ma rilassante e sembra piacevolmente a portata di mano”Signore.. mi scusi ....il pallone è mio e...”Allora mi accorgo che non ha senso continuare a fare riflessioni da “grande” togliendo un pezzo di felicità ad un bambino. Raccolgo quel pallone colorato, insieme a quel che di me ancora c'è di innocente… e chiedo a quei due occhi preoccupati: ”posso giocare per un po’ anch'io?”