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Nel segno del giallo "Il fumo uccide" capitolo 1


Nessuno avrebbe mai pensato che potesse accadere. Era prerogativa delle grandi città e non di un’anonima città di provincia. L’autunno inoltrato portava con se gli odori dell’incipiente inverno, il freddo iniziava a colpire le facce arrossate dei pochi passanti. Il poliziotto di piantone del commissariato iniziava a sentire i primi sintomi del raffreddamento. Il telefono squillava in continuazione ed ogni volta sempre più insistentemente. Un primo gruppo di giornalisti sfidava il freddo cercando di avere notizie. Nulla trapelava e il commissario capo non osava uscire per dare risposta alle loro domande. Quei mastini non aspettavano altro per attaccarlo. Se solo si fosse affacciato l’avrebbero fagocitato. Ancora non gli avevano perdonato quella sparata sui giornalisti corrotti e strumento dei grandi imperi finanziari. Li aveva definiti “velinisti di regime” al soldo del padrone del vapore. Forse era stato duro, ma non si era pentito di quella sparata. Adesso erano li che aspettavano una sua mossa falsa per distruggerlo. Erano li con i loro taccuini e le loro domande: “E’ vero? Chi? Come? Il dove e il quando erano le sole cose note. E’ impossibile celare il luogo di un delitto, soprattutto quando le pattuglie arrivano a sirene spiegate. C’è sempre qualcuno che telefona all’amico giornalista. Anzi, in genere, si chiamano prima i giornalisti che la polizia. Via La Marmora 47. L’abitazione era ormai presidiata dalle forze dell’ordine dalle prime luci dell’alba. Omicidio. Questa è l’unica cosa trapelata. Entrare è stato facile, la porta d’ingresso era aperta e questo aveva insospettito Franco il portiere. Aveva provato a chiamare dal citofono interno ma nessuno rispondeva. Era salito a controllare ed aveva notato la porta aperta. Non era normale. Il Signor Defenu era meticoloso e preciso. Mai avrebbe dimenticato di chiudere. Anche perché altrimenti il gatto sarebbe scappato e, come già era successo, l’avrebbe ritrovato giorni dopo, morto nel vicolo dietro lo stabile. Non voleva correre il rischio e stava attento. Quindi non era normale quella porta aperta. E i continui silenzi alle sue chiamate non fecero che dargli la certezza che qualcosa era accaduto. Ritentò un’ultima volta e si decise quindi a chiamare la polizia. L’ispettore Arzedi dapprima non diede peso a quanto affermato dal portiere ma alla fine si convinse e decise di intervenire. Se non altro, già si pregustava le urla contro quel portiere più dedito alla bottiglia che al suo lavoro. Giunti sul luogo si diressero verso l’abitazione del portiere e, con stupore, lo trovarono in attesa e, stranamente, sobrio. Saltarono i convenevoli e si fecero accompagnare nell’abitazione del Signor Defenu. Facendo attenzione a non toccare la maniglia, scostarono la porta ed entrarono. Accesero la luce. Tutto era in ordine, niente era fuori posto. Il miagolio del gatto li indirizzò verso la stanza da letto. La porta era chiusa a chiave. Bussarono ma non ottennero risposta. Chiesero al portiere se avesse il pass par tout. Questi glielo diede e, facendo la massima attenzione, riuscirono ad aprire. La stanza era invasa dal fumo. Fumo di sigaretta. Sembrava una fumeria. L’agente Taill corse alla finestra. Era chiusa anche questa. L’aprì e il fumo iniziò a diradarsi. La luce dei lampioni entrò e rese ancora più surreale la scena che si aprì ai loro occhi. Defenu, supino sul letto. Centinaia di sigarette accese sul pavimento e sul comodino al lato del letto. Il sangue aveva trasformato le lenzuola in un campo di rossi papaveri. Il cadavere non presentava tracce di lotta ma una sola, unica, ferita aperta. Ferita che partiva dallo sterno e arrivava alla gola. Arzedi rimase attonito per qualche istante e, suo malgrado, si vide costretto ad ammettere che quell’alcolizzato di Franco aveva avuto ragione a preoccuparsi. Prese il Suo telefonino e chiamo la centrale. Dopo appena cinque minuti arrivò il medico legale e la scientifica. Da un primo esame il Dottor Maulà, un omone di un metro e novanta per cento chili di peso, accertò che la vittima non aveva più i polmoni. Gli erano stati asportati da una mano esperta. Perché? A parte quel non trascurabile particolare, il resto del corpo era stato risparmiato da ulteriori mutilazioni. Arzedi, meditando sul perché di quella terribile mutilazione, si rivolse a Maulà. - A che ora pensa sia stato ucciso? E come? - Presumibilmente tra le due e le quattro del mattino. Apparentemente non presenta altre ferite. Sarò più chiaro dopo l’autopsia. Per adesso non posso dirle altro. Può far rimuovere il corpo. - Quando pensa di darmi il referto? Non voglio metterle fretta ma, capisce, devo avere (e dare, pensò) delle risposte. - Capisco Ispettore, cercherò di trasmetterle il referto entro le cinque. La saluto e in bocca al lupo. - Crepi! Arrivederci. D’improvviso, il suo meditare, venne interrotto dalle urla di Tatti. - Ispettore, venga a vedere. La voce veniva dal bagno. Entrò e vide subito la causa delle urla concitate dell’agente. Al centro dello specchio una scritta. Nera come quanto lasciava presagire: “Il fumo uccide”. A questo punto c’era di che pensare: perché quella scritta? Che senso poteva avere? Che il fumo uccida ormai lo sanno tutti, è scritto su tutti i pacchetti di sigarette. Ma che senso aveva scriverlo sul luogo di un delitto? Poi, perché nel bagno e non nella camera? E, ancora, perché la camera era chiusa a chiave? Sicuramente era stata, con abilità, richiusa dall’esterno, ma perché perdere tanto tempo? Tatti! Vieni qui, voglio sapere tutto sulla vittima. Chi era? Cosa faceva? Insomma tutto. Voglio tutto per fine mattinata. Nel mio ufficio. Sento puzza di bruciato, credo sia l’inizio di un bel casino. Ma dimmi tu, e pensare che tra sei mesi vado in pensione. Merda! Va bene Ispettore, farò del mio meglio. Un cazzo, Tati! Fai l’impossibile e in fretta. Agli ordini. Cazzo, più passa il tempo e più rompe i coglioni. Stronzo Alla centrale si viveva una situazione surreale. Non c’era mai stato tanto movimento. Si, qualche delitto c’era stato, ma sempre per motivi futili o, al massimo per gelosia. Ma una cosa simile no. Tatti!!! Eccomi Ispettore. Eccomi pronto a farmi lessare i coglioni da te, brutto stronzo. Allora? Hai quello che ti ho chiesto? Si. La vittima era Enrico Defenu, 47 anni. Nato a Mandas, un paesino a 60 km da qui. Scapolo e praticamente senza parenti. Orfano dall’età di 15 anni. Gestiva una piccola rivendita di Tabacchi in via Mazzini. I vicini dicono che fosse un tipo molto riservato, niente amici e che il suo unico confidente fosse il gatto. Insomma, un tipo dalla più banale esistenza. Incapace di fare del male e sempre pronto a rispondere alle richieste del parroco per interventi umanitari. Niente che possa far pensare a qualcosa di rilevante e che lo possa aver condotto ad una fine così orribile. Contento? Coglione. Merda! Cazzo! Non uno straccio di indizio. Perché una persona così banale e anonima ha fatto una fine simile? Hai gia fatto il sopralluogo nella tabaccheria? Ehem…No. E adesso sono fritto. Possibile che ti debba dire io ciò che devi fare? La usi quella testa di cernia che hai? O ti serve solo per poggiarci il cappello? Cazzo!!! Vado subito Ispettore. Bhe, questa me la sono meritata. Pronto. Sono Maulà. E’ Lei Ispettore? Si. Novità? Dall’autopsia e dall’esame del poco sangue rimasto abbiamo accertato la causa della morte. Avvelenamento da ossido di carbonio. Avessimo avuto i polmoni da esaminare ne avremmo avuto un’ulteriore conferma. Sembra che sia stato rinchiuso in una camera a gas, o quasi sicuramente in una macchina accesa e con gli scarichi direttamente nell’abitacolo. Quindi mi sta dicendo che potrebbe non essere morto in casa? Potrebbe essere ma dalla quantità di sangue ritrovata nel letto, si presuppone che il luogo dell’omicidio sia distante non più di dieci minuti. Sicuramente la mutilazione è stata fatta nell’appartamento. La ferita ci fa capire che abbiamo a che fare con qualcuno che sa utilizzare bene il bisturi. L’operazione è stata, tecnicamente, perfetta. Grazie Dottore, credo che nei prossimi giorni ci sarà un bel daffare per entrambi. Lo credo anch’io Ispettore. La saluto. Arrivederci.