entronellantro

Nel segno del Giallo "Il fumo uccide" Capitolo 2


Capitolo 2 Marco Ferri rientrava, come suo solito, in condizioni precarie. Sudato e sempre più al verde. Un’altra nottata passata con le Sue donne preferite che, però, non riusciva ad incontrare contemporaneamente. Quando iniziò a scoprirle, le vide lì. Una di seguito all’altra, fiori, cuori, denari. Ne mancava solo una. Doveva arrivare, né era certo. Cambia due carte e chiude gli occhi. Rieccole, come prima, fiori, cuori, denari…asso di fiori….re di cuori. Cosa fare? Solo un tris di dame che non portava piacere. Delle regine senza regno. Bluff. Era l’unica cosa da fare. Rilancia…vedono tutti. Quando scende le prime tre, uno dei quattro giocatori, quello che aveva avuto la sua stessa idea, abbandona le sue carte accompagnando il gesto con pesanti imprecazioni. Scende l’asso ma nessuno accenna l’abbandono. Infine, tocca al re mostrare il suo volto. Tullio, il giocatore davanti a Lui cala le Sue: Full d’assi. E’ fatta. Una nuova sconfitta. Non gli resta che alzarsi, salutare i presenti e dire addio ai suoi soldi. Le donne, come sempre nella sua vita, l’avevano ancora tradito. Quando arrivò nel suo studio erano già le 11. La segretaria, squadrandolo da capo a piedi, l’accolse con un sorriso che stava a significare solo derisione: Buongiorno Dottor Ferri. Buongiorno Marta. Dammi il tempo di fare una doccia e poi puoi far entrare il primo paziente. Il suo studio era dotato di tutti i servizi. Da quando la moglie, stanca di sopportare lui e il suo vizio, l’aveva lasciato lo studio era diventato il suo unico rifugio. Il suo microcosmo. Entrò nel bagno ed aprì l’acqua della doccia. Aveva proprio bisogno di una doccia. Era in condizioni pietose. Iniziò a spogliarsi e una volta davanti allo specchio sopra il lavandino, si guardò e non si riconobbe. A 43 anni aveva il viso di un vecchio. Le rughe iniziavano a segnare il suo viso, la pelle aveva perso tonicità e gli occhi erano macchie rosse chiazzate di bianco. Si faceva schifo. Entrò nella doccia. Il getto dell’acqua iniziò a colpire il suo corpo e sembravano frustate. Un gatto a nove code che lo colpiva senza sosta. Iniziò a piangere. Poggiò la fronte sulla parete e così rimase per minuti che, però, gli parvero un’eternità. Nella sua mente si fecero spazio i ricordi di un recente passato. Sua moglie e suo figlio erano li, davanti a lui. Lo guardavano con commiserazione e lui si vergognava. Si vergognava di aver tradito le promesse fatte, la fiducia che loro riponevano in lui. Aveva distrutto l’unica cosa che aveva fatto di giusto nella sua vita. La sua famiglia. E tutto per quelle maledette donne di carta. La sua droga, il suo unico pensiero. Un vortice che l’aveva preso e non lo lasciava più. Aveva anche provato a smettere. Non era durata. Cedette alla prima crisi d’astinenza e si fece male. Ventimila euro bruciati in una notte. E sempre per loro, le sue amanti di carta. Era sempre più intrattabile, con quell’ossessione che non concedeva spazio ad altro che alle sue donne di carta. Una vita passata ad inseguirle senza mai raggiungerle. Che vita la sua. Una risata isterica interruppe il vagare dei suoi pensieri. Gli era nata così, all’improvviso, dall’interno. I primi segnali della follia. Si ripeteva costantemente “non sono folle”. Ma ormai non ci credeva più. Del resto, come si può definire uno che abbandona gli affetti e la sua vita reale per un mazzo di carte da gioco. Cinquantadue pezzi di carta che per lui significavano sentirsi vivo ma che, in realtà, lo uccidevano pian piano. In attesa nello studio c’erano solo due pazienti. La voce del suo vizio si stava ormai diffondendo. Una voce che di bocca in bocca si amplificava e diventava un urlo. Quasi una dichiarazione di incapacità professionale. Come se un giocatore non potesse essere anche un buon medico. Del resto le due cose si assomigliavano. L’azzardo era presente in entrambe. Da una diagnosi, azzardata o meno, poteva scaturire la vittoria o la sconfitta. Nell’una e nell’altra vi era una posta in gioco. La vita o la morte. Per lui ultimamente solo sconfitte, morte. Buongiorno signora Dal masso, come sta. Come vuole che stia, i soliti acciacchi. La mia artrite non mi da pace. Ci sono momenti in cui sogno di farla finita. Rieccola, la morte. Anche quando cerco di allontanarla torna da me. Non lo dica neanche per scherzo. Continui la cura che le ho prescritto e quando il dolore si fa insopportabile prenda il nimesulide. Intanto mi faccia vedere le ultime analisi. Questa vecchia si lamenta ma sta molto meglio di me. Ecco le sue ricette e mi raccomando. Continui la cura. Grazie dottore. Posso dirle una cosa? Cosa? Lei sa bene che la nostra città è piccola. Tutti sanno tutto di tutti. E su di lei soprattutto. Il suo vizio del gioco è diventato il principale argomento trattato. Si dice che abbia anche iniziato a bere e così, come avrà notato, molti dei suoi abituali pazienti la stanno abbandonando. Io le voglio bene e mi dispiace di vederla così. Così abbattuto e trasandato. Lei, un così bell’uomo. Ecco, le volevo dire che se le serve aiuto può rivolgersi a me come a una mamma. Una mamma, peccato che io non sappia cosa significhi avere una mamma. La mia è morta nel darmi alla luce. La ringrazio per l’affetto, ma le assicuro che non mi serve niente. Solo 150.000 euro. A tanto ammonta il mio debito con gli strozzini. Arrivederci dottore. La seconda paziente aveva cambiato idea e così non c’era più nessuno da visitare. Marta, se vuoi puoi andare. Qui non c’è più niente da fare e così ne approfitto per riposarmi un po’. A domani, dottore. Solo, era finalmente solo. Mise su il Requiem di Mozart e si sdraiò su quella branda scomoda e rumorosa che era diventata il suo letto. Le note del “lacrimosa” trovarono la strada per il suo cervello. Pian piano si rilassò e cadde in un sonno profondo e senza sogni. Dopo alcune ore, qualcosa lo ridestò. Perché il requiem era ancora presente? Era sicuro di non aver programmato la ripetizione del cd. Perché suonava ancora? Si alzò e si diresse verso l’anticamera dello studio. Davanti a Lui un uomo. Sei tu?! Ciao Marco. Come stai? Sorpreso di vedermi? Ciao, come hai fatto a entrare? La tua segretaria ha lasciato la porta aperta. Aspettavi la mia visita? Sinceramente no. Ma, lo speravo. Li davanti a lui c’era la soluzione a tutti i suoi problemi. Marco, vuoi una sigaretta? E’ vero.Hai smesso da tempo. Hai fatto bene. Ora, come un epitaffio funebre, lo ricordano anche i pacchetti:”Il fumo uccide”. Cosa vuoi? Soldi non ne ho. Anzi, ormai non ho più niente. Tranquillo, so bene come te la passi. E’ per questo che sono venuto. Io ti risolverò i problemi. Ti libererò dalle donne di carta e dalla vita squallida che conduci. Del resto te lo devo. Ciò che mi hai fatto non ha prezzo. D’improvviso, nelle mani di quell’uomo che aveva di fronte apparve una lama. Capì che era finita. Mozart continuava a dirigere la musica. Il confutatis. Confutatis maledictis flamis acribus addictis. D’improvviso la lama sparì alla sua vista. La sentì entrare dentro di lui. In quei brevi istanti rivide la sua vita. I volti di coloro che aveva tradito. E anche le sue regine, cuori, denari, picche e fiori. Questa volta c’erano tutte. Tutte e quattro li. Gli sorridevano. Erano li per lui. Finalmente. Che beffa, arrivano adesso che non ho nessuno a cui mostrarle. L’uomo ritrasse la lame, i suoi occhi negli occhi della vittima. I loro volti erano vicini. Così vicini che potevano scambiarsi l’alito. Era come se l’assassino cercasse d’impadronirsi del suo ultimo fiato. La sua anima. Il Dottor ferri spirò. Sul suo volto non c’era paura. Solo un sorriso enigmatico. Era finita. La pioggia era arrivata, finalmente. Dopo una lunga estate torrida, i primi freddi avevano portato la pioggia. Per strada poche persone, il Castello ormai aveva perso gran parte dei suoi abitanti molte delle attività commerciali che, un tempo, lo rendevano frequentato a tutte le ore del giorno e della notte. Gli interventi realizzati dalle diverse amministrazioni comunali succedutesi negli ultimi vent’anni, l’avevano reso piacevole alla vista ma privo di vita.