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Nel segno del giallo, "il fumo uccide" Capitolo 5


Marco Negri attese l’ispettore davanti alla sua macchina. Per lui l’Ispettore aveva sempre un occhio di riguardo, lo rispettava come uomo e come giornalista. L’origine di questa stima risaliva agli anni del liceo, erano compagni di scuola. Liceo Scientifico Michelangelo, primo giorno di scuola e festa di benvenuto ai “primini”. Marco Negri era al secondo anno e toccò a lui dirigere i festeggiamenti. I suoi compagni di classe, repressi e rabbiosi da un anno di angherie e rospi amari, avevano preparato con cura l’accoglienza dei nuovi arrivati. Francois Arzedi, madre francese e padre italiano, procedeva fiero del traguardo raggiunto in testa al gruppo di primini. Era fiero di essere arrivato al liceo, suo padre contadino aveva conseguito solo la licenza elementare. Per lui quel giorno era importantissimo. A testa alta si avviò verso l’ingresso, gli anziani formavano una specie di colonnato. A pochi metri dal traguardo, quando proprio stava per guadagnare l’ingresso, una mano – troppo grande per essere quella di un ragazzo più grande di lui di un anno – lo acchiappò per il bavero della giacca e gli spiaccicò in testa un uovo marcio. Francois si sentì umiliato da quel gesto e reagì. Con tutte le forze si scagliò contro l’aggressore e subito si formò intorno a loro un cerchio di ragazzi urlanti. Alcuni intervennero per dargli addosso a quel primino che aveva osato mettere in discussione, con il suo gesto, l’autorità degli anziani. La lotta era impari, anche se Francois si difendeva bene. L’anziano Negri, accortosi di quanto stava accadendo, intervenne in sua difesa. Da allora il loro legame divenne inscindibile. Passarono gli anni e le loro strade, professionali, si divisero. Uno scelse di essere parte attiva delle azioni e l’altro scelse di raccontarle. Uno poliziotto e l’altro giornalista. Ma comunque e sempre amici. E insieme hanno vissuto avventure, più o meno pericolose, che hanno contribuito al consolidamento del loro rapporto. Ciao Francois, butta male? Ciao Marco. Malissimo. Non riesco a cavare un ragno dal buco. Due morti ammazzati e neanche uno straccio di pista da seguire. Vuoi parlarne? Ceniamo insieme? Un’altra cosa li univa: nessuno dei due aveva qualcuno a casa ad aspettarlo. Entrambi divorziati ed eternamente spiantati. Per loro, non avere una famiglia costava più che averla. Pranzo fuori casa, cena idem e poi le colazioni al bar. Gli assegni alle loro ex mogli, l’affitto e tutte le altre spese. Insomma non restava niente dei loro guadagni. Va bene, al solito posto? Chiamo Renzo per il tavolo. La Trattoria “Da Renzo”, la loro seconda casa. Erano, di fatto, gli azionisti di maggioranza del locale. Renzo era il terzo socio, quello che stava meglio di tutti. Loro mangiavano, pagavano e lui guadagnava. Ma davanti a una buona bistecca di cavallo dimenticavano, boccone dopo boccone, i loro problemi. Allora, Francois. A cosa pensi? Sto pensando che se non riesco a prendere questo pazzo il mio futuro è segnato. Già mi vedo all’ufficio passaporti. Che fine ingloriosa mi aspetta. Non uno straccio di prova, una traccia. Mi sembra di essere una mosca in una barattoli di vetro. La realtà mi circonda ma non posso raggiungerla. Vedo la fessura nel tappo ma sono troppo stupido per riconoscere la strada. Cazzo! Non so proprio che pesci prendere. Tu, invece, ti sei fatto un’idea? E’ un casino. Apparentemente non c’è nessun legame tra le vittime. Erano due soggetti non riconducibili ad uno stereotipo di vittima. Non li accomunava nulla. Età diverse, vite diverse, storie direi diametralmente opposte. Eppure, secondo me un legame esiste. Non so cosa, ma esiste. Penso tu abbia ragione, ma non riesco ad individuare il legame. Proprio come la mosca che non riesce a trovare la strada per uscire da quella prigione di vetro. L’unica presumibile traccia è quella scritta: “Il fumo uccide”. Cosa può significare? Cosa ci vuole dire l’assassino? Già. Cosa ci vuole far credere? Ci sta dando un indizio o vuole sviarci? Questa è la prima domanda alla quale dare risposta. Inoltre, bisogna essere certi che le vittime non si conoscessero tra loro. Hai gia indagato in questa direzione? Ho dato incarico a Tatti di verificare. Voglio sapere tutto di quei due disgraziati. Credo che avrò qualche indicazione in più entro domani. La foto sul muro non era degna di ammirazione per la definizione e il soggetto impresso, ma serviva perfettamente al suo scopo. Certo che ne erano passati di anni da allora. Ben 25 anni. L’uomo la guardava come se fosse la prima volta, i volti catturavano il suo sguardo e attivavano i suoi pensieri. Tutto era cambiato da allora. L’uomo si sdraiò e, immerso nella penombra cadde in un sonno profondo. I sogni arrivarono e portarono a lui i ricordi più remoti di un lontano passato. Era giovane e giovani gli amici vicino a lui. D’improvviso senti una pressione al cuore, l’angoscia che prendeva possesso di lui. Si vide fuggire. Correva, correva nel buio e sentiva il loro ansimare dietro di se. Non riusciva a distaccarli. I battiti del suo cuore aumentarono d’intensità e di volume. Gli rimbombavano in testa come quei colpi di cannone che tanto odiava. Correva ma loro erano sempre la, dietro di lui. D’improvviso una mano l’afferrò e cadde. Gli furono addosso. Era immobilizzato, sentiva quelle mani che frugavano il suo corpo. Le sentiva insinuarsi sotto i vestiti, ovunque. Sentiva i colpi sul viso, sulla schiena. Poi fu il buio e quindi il dolore e le lacrime. Si svegliò ansimante. Era sudato e spaventato. Quel sogno, che tanto lo aveva spaventato in passato, era tornato. Non riusciva a scacciarlo. Tornava sempre a ridestare il suo dolore e la sua vergogna. La sua rabbia e la malvagità che aveva preso il posto dell’amore per Caterina. Lui era rabbia, malvagità e dolore. Non c’era posto per nessun sentimento che non evocasse dolore, lacrime e sangue.