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Centro Commerciale Paradise.


La sveglia suona, inutilmente. Aveva passato una notte agitata, le emozioni della sera prima non gli avevano certo conciliato il sonno. Aveva trascorso la notte in bianco, pensando e ripensando a quanto accaduto. Ancora non ci credeva, però era vero. Mantenersi agli studi era difficile. Di tanto in tanto qualche lavoretto e qualche ora di ripetizione ai figli della vicina gli consentivano di pagare l’affitto della camera e la mensa universitaria ma niente più. La mancanza di danaro non gli permetteva di vivere gran parte delle esperienze che vivevano i suoi coetanei. Niente cinema né discoteche, niente pizzeria o ristorante. Raramente, riusciva a permettersi una birra nel pub sotto casa. Aveva 22 anni ma conduceva una vita quasi monastica. Non poteva continuare così. Un giorno attirò la sua attenzione un annuncio nella bacheca della facoltà: “Cercasi camerieri per fast food in centro commerciale, anche part-time. Tel 330….”. Non perse tempo, corse alla prima cabina telefonica e investì il residuo della sua scheda prepagata per chiamare quel numero di cellulare. Cazzo, pensò, non potevano mettere il numero fisso? L’avranno un telefono nel locale! Compose il numero e al terzo squillo una voce rispose: TempJob, per cosa chiama?Si presentò e fece subito riferimento all’annuncio della bacheca. La voce all’altro capo del filo gli fissò un appuntamento per le 17. Raccomandò di arrivare puntuale e gli diede l’indirizzo: Il fast food del Centro Commerciale “Paradise”. Per paura di arrivare in ritardo, uscì di casa alle tre. Forse ho esagerato, due ore per percorrere due chilometri sono troppe. Alle tre e mezza, nonostante il passo lento, era già davanti al centro commerciale. Mancava più di un’ora, cercò di far passare il tempo fingendosi un cliente del centro. Si ritrovò proiettato in un susseguirsi di vetrine, luci e colori. S’incanto, come un bambino, davanti alla vetrina del negozio di Hi – Fi. Pochi giorni prima aveva visto su un giornale lo stereo che adesso era lì davanti a lui. Un Sony stellare, color acciaio e dal design avveniristico. Non riusciva a staccare gli occhi da quel sogno. Entrò per vederlo da vicino. Nessuno dei commessi gli si avvicinò per chiedergli se necessitava d’assistenza, a malapena risposero al saluto. Ma a lui non interessava, voleva solo toccare quell’oggetto fantastico. Iniziò a fantasticare. Prima o poi me lo compro. Ne studiò ogni dettaglio e ciò gli fu d’aiuto per riempire quell’ora d’anticipo. Alle 16.55, come segnava il display dello stereo, si rese conto che era ora di andare. Corse via, verso il fast food. Arrivò puntualissimo, si presentò ad uno dei ragazzi alla cassa e questi gli disse di attendere un attimo. Sollevò la cornetta del telefono e compose un numero interno. Dopo pochi minuti, da una porta alle sue spalle arrivò un uomo di mezz’età che lo invitò, con fare molto distaccato, a seguirlo. Oltrepassarono la porta da cui era apparso l’uomo e si trovarono in un corridoio strettissimo, sporco e poco illuminato. Una luce indicava la presenza di un’altra stanza. L’uomo fece strada e lo invitò ad entrare in quello che doveva essere il suo ufficio. L’arredamento era alquanto scarno, una scrivania, due sedie e un vecchio computer. Si sedettero l’uno di fronte all’altro, separati dalla scrivania. Stettero alcuni minuti in silenzio, un silenzio pesante. L’uomo, finalmente, gli rivolse la parola. Poche domande semplici e di circostanza. Del resto doveva essere un colloquio di lavoro. Al termine dell’incontro l’uomo, visibilmente soddisfatto, gli tese la mano e gli diede il benvenuto in azienda. Era stato assunto. Certo non un posto di responsabilità ma un semplice posto di aiuto cameriere. Quanto bastava per portare a termine gli studi e permettergli qualche svago in più. Avrebbe iniziato l’indomani mattina, alle nove. Al termine di quella giornata era ancora euforico, non riusciva a credere di aver trovato un lavoro. Non riuscì a prendere sonno. Beez beez beez, il suono della sveglia gli ricordò che doveva prepararsi. Non poteva far tardi, era il suo primo giorno di lavoro. Doveva fare una buona impressione. Si preparò in un baleno e alle 8 era già sulla strada che portava al centro commerciale. Alle 8.30 era già davanti all’ingresso. I primi clienti, quelli mattinieri che odiano la ressa delle ore di punta, aspettavano l’apertura. Alle 8.45 le porte si aprirono. Impiegati, commessi, clienti e camerieri si precipitarono all’interno. La prima tappa per tutti era il bar. Anche lui si concesse il lusso di un cappuccino e una pasta. Del resto adesso era un lavoratore e, almeno quelli, se li poteva permettere. Diede un’occhiata all’orologio da parete del bar, vide che erano le 8.55 e si diresse alla cassa. Si bloccò di scatto, sentiva uno sguardo su di sé. Si girò e la vide. Alta, cappelli neri e viso da dea. Bella da morire. Per un attimo non pensò più all’ora. Voleva restare lì a guardarla. Del resto gli bastava guardarla. Era troppo timido per agganciarla. C’era, però, qualcosa che non quadrava. La guardava ma non capiva cosa stonasse in lei. Come poteva una ragazza del genere essere vestita in quel modo. Restò immobile qualche secondo con lo sguardo rivolto alla ragazza. Secondi che parvero un’eternità. Si stava ancora chiedendo il perché di quel vestito quando… Booom. Un boato tremendo rispose alla sua domanda. La vide sorridere e contemporaneamente senti l’esplosione. I cristalli del bar, investiti dall’esplosione, si fecero in mille pezzi. Centinaia di gocce incandescenti lo colpirono. Sembravano i lapilli di un eruzione. No, cazzo. Non è possibile. Proprio oggi. Cazzo arriverò in ritardo a lavoro. Intorno a sé, prima di perdere conoscenza, vide aprirsi le porte dell’inferno. Corpi smembrati, sangue e fiamme dappertutto. Stava morendo. Aveva sempre davanti agli occhi il sorriso della sconosciuta. Cazzo! No, proprio oggi no!