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Esempi Italiani: "Donato Menichella"


Donato Menichella (Biccari 1896 - Roma 1984)Donato Menichella è, probabilmente, per molti un nome come tanti. Un nome senza volto e a volte un volto senza nome. Ma Donato Menichella è, per l’Italia, intera uno dei personaggi che ne ha influenzato, maggiormente, la storia. Come direttore generale dell’Iri, Menichella fu negli anni trenta, accanto ad Alberto Beneduce, uno dei massimi protagonisti dell’intervento pubblico in economia; dopo la guerra divenne governatore della Banca d’Italia e prese decisioni fondamentali sulla moneta, il sistema bancario, lo sviluppo economico. La sua smania di visibilità era inversamente proporzionale alle sue competenza ed alla concretezza dei suoi interventi. Pur tendendo a restare dietro le quinte egli era un uomo dal forte carisma che amava il suo Paese ed il suo lavoro. Con lui alla guida della Banca d’Italia, il Paese passò dalle rovine della guerra al "miracolo economico". E mentre il Paese viveva il suo boom, grazie a Menichella la lira si guadagnò il cosiddetto  "Oscar", un prestigioso riconoscimento assegnato alla valuta più stabile al mondo.Politicamente Menichella fu un “conservatore illuminato”, vicino a De Gasperi e sostenitore, nei fatti, della cultura dell’esempio tanto che di lui si parla anche nel recente libro di Stella e Rizzo, La deriva, per evidenziare il grande spessore morale e la caratura dell’uomo. Caratura che si evince, chiaramente, dalle parole del figlio Vincenzo, a cui il padre lasciò in eredità un opuscolo sul perché egli non diventò ricco,   ...Mio padre era uno "specialista dell'autoriduzione". Autoridusse il suo stipendio nell'anteguerra a meno della metà. Non ritirò, quando fu reintegrato all'IRI, due anni e mezzo di stipendio; al presidente Paratore rispose: 'Dall'ottobre 1943 al febbraio 1946 non ho lavorato!'. Fissò il suo stipendio nel dopoguerra a meno della metà di quanto gli veniva proposto; lo mantenne sempre basso. Se il decoro del grado si misura dallo stipendio, agì in modo spudoratamente indecoroso! Il 23 gennaio 1966, al compimento del settantesimo anno, chiese ed ottenne che gli riducessero il trattamento di quiescenza, praticamente alla metà, giustificandosi così: 'Ho verificato che da pensionato mi servono molti meno danari!'. Ai figli ha lasciato un opuscolo dal titolo: 'Come è che non sono diventato ricco', documentandoci, con atti e lettere, queste ed altre rinunce a posti, prebende e cariche. Voleva giustificarsi con noi: 'Vedete i denari non me li sono spesi con le donne; non ci sono, e perciò non li trovate, perché non li ho mai presi!' Mia madre (gli voleva molto bene) ha sempre accettato, sia pure con rassegnazione, tali sue peregrine iniziative (anche quando dovemmo venderci la casa e consumare l'eredità di lei); però ogni tanto ci faceva un gesto toccandosi la testa, come a dire: 'Quest'uomo non è onesto, è da interdire' poi sorrideva e si capiva che era orgogliosa di lui. (Vincenzo Menichella, Roma, "Giornata Menichella", 23 gennaio 1986).Menichella aveva grande attenzione per la piccola impresa e per l’agricoltura. Era, al tempo stesso, un industrialista (Iri) e un localista: un apparente paradosso che si spiega con la sua diffidenza per una classe di capitalisti privati che aveva dimostrato grande propensione ad alimentarsi di aiuti pubblici e a scaricare le perdite sullo stato, senza rischiare in proprio. ( già allora si guardava con diffidenza ai famosi “capitali coraggiosi” ma, evidentemente, altri hanno preferito guardare in direzioni opposte). Si dimise dalla carica di governatore nel 1960 e non volle ricoprire, nonostante le innumerevoli offerte,  altri incarichi. Menichella morì nel 1984. Non lasciò agli eredi grandi patrimoni ma, sicuramente, lasciò loro e all’Italia intera un grande esempio. Un esempio, purtroppo, accantonato in nome dell’avidità e della cupidigia. Riusciremo a recuperare e seguire questo esempio? Il Paese ne ha certamente bisogno!