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Ritorno al nucleare.


Stanno tornando. Il governo si è insediato da pochi giorni ma è già riuscito a stimolare la fantasia dei manifestanti di professione. Ci hanno provato a Napoli in occasione del Consiglio dei Ministri in tour ma non è stato un successo. Adesso, dopo le dichiarazioni in merito ad un ipotetico ritorno al nucleare, si preparano a scendere in piazza il prossimo sette giugno le associazioni ambientaliste. Si, proprio loro, quelle che sull’onda emotiva del disastro di Chernobyl hanno contribuito, con sinistra e radicali, alla bocciatura del nucleare tramite referendum popolare. E pensare che negli anni sessanta l’Italia era tra i primi Paese per l’uso e la ricerca nel campo dell’utilizzo civile del nucleare. Poi, accecati dai danni causati dalla centrale sovietica e dalla propaganda becera e terroristica, gli italiani hanno voltato le spalle al nucleare contribuendo così al peggioramento della nostra economia. Si dice che la nostra bolletta energetica ammonti a circa 60 miliardi di euro annui quindi immaginate quanto danaro abbiamo sperperato per aver rinunciato alle nostre centrali e alla produzione basata sul nucleare. Poi, paradosso dei paradossi, andiamo a comprare energia da Paesi limitrofi che la producono con il nucleare. E dove sono le centrali? Al confine con quello che un tempo si poteva chiamare Belpaese. Ricorda molto la storia del marito che per fare dispetto alla moglie decide di tagliarsi gli attributi. Ma questa è un’altra storia. La certezza è che in questi 21 anni, quelli che ci separano dal referendum anti nucleare, il Paese ha perso tempo, denaro e risorse. Risorse di ogni tipo, cervelli compresi. Cervelli, quelli dei fisici, che hanno dovuto lasciare l’Italia per poter lavorare. E il Paese si è impoverito, non solo, economicamente. L’Italia è stata per anni come una macchina con un autista folle che cercava di farla avanzare con il freno a mano tirato, le ruote sgonfie e senza benzina. La macchina si è fermata ed ora, come giustamente dice la Marcegaglia, la neo Presidentessa di Confindustria, ci sono le condizioni per farla ripartire. Certo ci sarà bisogno di un bel controllo generale, andranno gonfiate le ruote, tolto il freno a mano e messa benzina, altra benzina visto che quella messa in tutti questi anni è andata perduta per incapacità degli autisti. Le condizioni per la ripartenza ci sono tutte e, forse, lo sanno anche gli oppositori del Cavaliere – pilota che si accinge a testare la macchina Italia. Il Paese intero ci crede e, per dirla con il caro Uolter, si può fare. Si può fare mettendo da parte vecchi rancori e odio e collaborando per il bene dell’Italia. Si può fare dando vita ad un piano energetico serio, un piano energetico che ci porti a risparmiare gran parte dei fondi ora destinati alla bolletta energetica. Si può fare rinunciando a battaglie più figlie dell’ideologia che della ragione, battaglie inutili e insulse. Battaglie che il Paese non vuole e lo ha dimostrato mandando a casa tutto il fronte del no ad oltranza. Il Paese vuole un ritorno alla ragione e, magari, alla capacità di sognare. Sognare un Paese moderno, più ricco ed equo. Un Paese moderno e, come prometteva il povero Romano Prodi, felice. Un Paese in cui il ciclo dei rifiuti non faccia la felicità, economica, di altri Paesi. Un Paese capace di affrontare con prontezza le vere emergenze e che non trasformi in normalità le emergenze. Un Paese in cui i chiamati alla gestione della cosa pubblica siano, come il buon Donato Menichella, capaci di rinunciare anche a ciò che gli spetterebbe di diritto e ad ergersi ad esempio per tutti. Un Paese che possa mostrare la faccia senza doverla nascondere per la vergogna. Insomma, un Paese normale. Questa, temiamo, sia l’ultima occasione per evitare il tracollo. Se si fallisce ora sarà la fine del sogno italiano. Ricordiamoci che gli Stati, così come gli uomini, nascono crescono e muoiono. E’ naturale che sia così ma sta a noi cercare di trasformare la naturale conclusione in un nuova nascita. Rialzati Italia, si può fare!