Il mezzo e il fine

uno


A distanza di tanto tempo, mi chiedo ancora cosa le fosse piaciuto di quel nostro contatto: se veramente avesse amato le favole che le mandavo, o più semplicemente il fatto che le dedicassi un pensiero ogni sera. Non glielo chiesi mai... Non ricordo neanche come nacque quella mia abitudine, quella nostra abitudine... so solo che ci prese, ci avvolse e ci vinse, tenendoci in contatto per tutti questi anni. Un contatto irreale e falsato in realtà, dove io ero l'unica sorgente di voce e lei l'unico orecchio, e pur tuttavia l'unico orecchio che desideravo m'ascoltasse. Quando la incontrai, dopo otto lunghi anni, in quella via di Parigi, avevamo ormai anche difficoltà a parlare. Lei era bella, come non lo era mai stata. O forse come sempre l'avevo vista. Io avevo perso qualcosa nel frattempo: il mio compagno di tante serate, spesso abbandonato anche per lei. Il mio compagno m'aveva lasciato. L'aveva fatto così, in solitudine, in sordina, com'era venuto.. lasciandomi un vuoto freddo in ogni angolo della casa. Lasciandomi, soprattutto, domande inevase sulle mie scelte e sulle nostre sofferenze. Forse fu proprio Bari a cambiare tutto, a minare lui per sempre e la mia vita con la sua. Lei al tempo non comprese, non aveva accettato... Né io capii mai perché avesse accolto così male una notizia che era nell'aria da tempo. Ci perdemmo di vista per un po', a seguito di quella mia decisione. Ma c'era un legame, un legame che non avrei mai spezzato, che non volevo spezzare per nessun motivo. Erano le mie favole, per lei. Erano le favole che aveva chiesto con garbo ogni volta che avevo interrotto il loro cammino... continuai a mandargliele per tutti e due gli anni che trascorsi a Bari. Non ottenni mai risposta, mai una telefonata, mai un saluto. Eppure sapevo che lei era lì, che le aspettava ogni mattina. Sapevo che pur non avendo capito, accettato, perdonato... lei era lì. Quando c'incontrammo a Parigi, senza parole, senza nulla da dire, le lacrime non volevano saperne: era l'unico, istintivo, primordiale contatto che riusciva a raccontare la nostra vita in pochi istanti. Prendemmo un caffè, ci avviammo all'uscita e non ci vedemmo più. E' l'ultimo ricordo che ho di lei. Adesso che son vecchio, solo, come son sempre vissuto... adesso mi manca più che mai. Mi manca quel suo sapermi capire senza capire, quel suo rimproverarmi quand'ero in errore... adesso che sono solo, come son sempre vissuto... adesso che le mie fiabe non hanno più l'orecchio muto che le ascoltava... questo ricordo mi consuma. Quel nostro legame, fatto di silenzi e parole, di piccoli odii e pochi gesti d'amore, mi aveva sostenuto per tutta la vita... e se anche t'avevo promesso che mai t'avrei lasciato... esser l'ultimo di noi ad andare non mi consola affatto.