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il piccolo f

Post n°15 pubblicato il 20 Settembre 2012 da f362514

L'infanzia di F era stata simile a quella di tanti altri bambini che, come lui, si sentono un po' diversi dagli altri: pochi cari amici, giusto un paio che lo salvavano dalla noia, schivo, pochi argomenti di conversazione a causa della sua avversione per il calcio e le auto, imbranato in quasi tutti gli sport.  

Per qualche motivo a lui incomprensibile, cadeva facilmente vittima della cattiveria dei compagni. Quando si trovava in un gruppo,  veniva puntato dal capobranco di turno, il ragazzino più sveglio, quello più sagace e simpatico che preso da solo era divertente, amichevole, ma in gruppo diventa cattivo, soprattutto verso chi non sapeva difendersi, come F. Il capo branco iniziava  a sfotterlo per un motivo qualunque, una caratteristica fisica, una parola sbagliata, un rossore improvviso, e poi affondava i colpi, e piano piano si univano gli altri, spietati, spinti anche dalla  paura di diventare loro le vittime, una specie di gioco al massacro.

F era diventato un esperto di questo gioco, ma non sapeva sottrarsi. Capiva quando stava per cominciare, come sarebbe continuato e come si sarebbe concluso: steso nel suo lettino, a piangere.

Il culmine  fu durante un viaggio organizzato da un gruppo parrocchiale. F aveva 12 anni e dormiva per la prima volta fuori casa.  Pensava che si sarebbe divertito, ma cadde ben presto vittima del solito gioco. Il primo giorno fu terribile, una serie infinita  di scherzi e battutine, sempre contro  di lui, seguiti da risate collettive. E si arrivò alla notte:  una dozzina di ragazzi nella stessa camerata. a turno dicevano il suo nome....e giù pernacchie, o peggio, qualcuno disse che dovevano dargli la dolce euchessina...perchè era un bravo bambino, così avrebbe dormito bene, o forse era una bambina, si, sicuramente era una bambina, dai vieni qui che ti diamo la suppostina, hai messo le mutandine rosa eh? ma la pipì come la fai, secondo me si siede, come le femmine!!! Ahahahahah

Quella sera però F reagì! Non a parole, ovvio, non ne era capace. Ma quando la luce fu spenta, ed  i compagni ricominciarono  a sfotterlo e a minacciarlo, invece di scoppiare a piangere in silenzio (come al solito) pensando al  suicidio e al pentimento di quelle stesse persone che lo stavano torturando, fece una cosa strana: cominciò a toccarsi, forse per cercare una auto consolazione:  mentre i ragazzi lo incalzavano, lui, nel buio, si accarezzava, il petto, la pancia, le cosce, il sedere e lì. Immaginò tutti quei ragazzi su di lui, a fare davvero le cose di cui tanto sghignazzavano.   Non raggiunse l'orgasmo, non lo conosceva ancora, ma l'idea  di essere la vittima di un branco, adesso invece di mortificarlo lo eccitava. 

La mattina si svegliò con un nuovo piglio. Aveva  resistito senza piangere a quel tormento, anzi, era  perfino riuscito a trarne piacere. Questo  lo aveva reso più sicuro di se, più spavaldo. Non si sa se fu la sua nuova determinazione, o se i ragazzi capirono di aver esagerato, o semplicemente si erano stancati di quel gioco, ma nei giorni successivi le cose cambiarono. F fece buona amicizia con diverse ragazzine  e i suoi compagni smisero di umiliarlo.

 
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