ElettriKaMente

...ED AMO COLORO CHE TRAMONTANO


 Io amo coloro che non sanno vivere se non tramontando, poiché essi sono una transizione(F. Nietzsche, Così parlo Zarathustra, Prologo)
  C'è un tempo per ogni cosa, e c'è tempo anche per essere oppressi dalla vita.E quando la vita ci si arrotola come un rettile tra le ossa, facendo tana tra il timo e il pancreas, picchiettandoci ogni percezione tra l'epifisi e la tiroide, forse, è probabile che si possa desiderare di avere a disposizione un foglio tutto bianco dopo aver appallottolato quello reso inutilizzabile dalle incisioni e dalle macchie.Ed è probabile che per quanto si cerchi di scardinare l'illusione di ogni Maya velata (e prima di arrivare a contemplarla davvero desnuda) si debba percorrere questa parabola della materia vivente distinta da quella inanimata, tenendo in conto anche tutte le sue leggi mondane. Così, forse, dopo aver negato ogni più cupa mescolanza interiore e nera secrezione della bile, e dopo aver preso le distanze sociali di sicurezza tra la nostra anima in cerca di paradisi momentaneamenti nascosti e tutti quegli attacchi di risentimento, rabbia o frustrazione che si declinano corteggiandoci nei toni della morte, ci rendiamo conto che abbiamo un disperato bisogno anche di essere infelici.Perché senza il dolore proprio non conosciamo la pace: il suo surrogato è un'apatica e anemica monotonia. Il tedio ci mente offrendoci ripiegamenti meditativi di facile portata e ce li presenta come perle di quiete; ma l'unica cosa che portano è un'insoddisfazione anomala che non nasce affatto da un desiderio inappagato...Inaspettatamente risiede, invece, proprio in lei, in quella soddisfazione già ricevuta che così tanto cercavamo.E senza la paura che ci strappa ogni raziocinio anche la sicurezza interiore assume l'aspetto insofferente di una coperta avvolta intorno al corpo durante la notte, quando con i raggi di un minaccioso termometro estivo ci si sveglia, poi, per il caldo...Fintanto che il temporale piove a cerchietti vuoti, pieni di colore blu e su cui s'innestano gambi di fragilità sempre più irrisolte, non si aspira veramente ad altro che non sia l'accoglienza di un tepore stabile; ma poi...?A che servono le regole se non per poterle infrangere e costruire nuovi percorsi, più efficaci, più sensati o semplicemente necessari per ricrearci? Allora, se la grandezza dell’uomo è quella d'essere un ponte, e se tramontare significa realmente trasmutare, proprio come la morte ci svela, anche quando decidiamo di restare ostinatamente ancorati all'abitudine come la cozza allo scoglio, necessitiamo (comunque) di passare da una condizione ad un'altra per non incenerirci.L'essere umano non nasce soltanto nel giorno in cui sua madre lo porta alla luce, ricordava Gabriel Garcìa Màrquez,  la vita stessa, infatti, lo costringe molte volte a partorirsi da sè.Abbiamo bisogno di restare vivi, in bilico tra la certezza e lo stupore.E per farlo dobbiamo morire molte morti, in uno stato di transitorietà temuta, ma salvifica e di tumulto in ogni caso inevitabile.Quindi, va bene...ringraziamo il vento che ci porta nuove nascite, che mantiene e rielabora il languore passato e che sostiene e stravolge il futuro di cui già siamo innamorati o di cui ci innamoreremo.Anche perché ce ne possiamo innamorare solamente (e quando) è impossibile da prevedere nel momento presente.  E’ così, è necessario morire di molte morti per poter conoscere la luce della nascita (Vangelo di Maria Maddalena, v.235-236)   L'immagine utilizzata nel post è Paradiso, Le due corone di spiriti, di Salvador Dalì.