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L’IO NON E’ PADRONE IN CASA SUA


L'Io non è padrone in casa sua, diceva Freud.E se l'essenziale è invisibile allo sguardo, anche per i motivi annotati nel post precedente; probabilmente noi siamo davvero laddove non siamo, come poetava Jemenez, e siamo coloro che passeggiano là dove non sono, restando quando moriranno.Così, Io non sono io, scriveva il Nobel spagnolo.Sono colui che tace quando parlo e perdona quando odio.                                                        
 Il matematico e filosofo del 1600 René Descartes, poi italianizzato in Cartesio, sosteneva, invece, che noi siamo in virtù del cogito, grazie al fatto che pensiamo, e lo sostenne attraverso uno scetticismo metodologico che entusiasmò Kant, facendo affermare a quest’ultimo che la coscienza umana si costruisce e si plasma intorno ad un "io penso" che non può imparare se non da conoscenze che derivino da un unico principio.Ma se, da una parte, lo stesso Hegel considerò il metodo di Cartesio come una sorta di terraferma grazie alla quale il pensiero navigante può finalmente approdare dopo viaggi tumultuosi su mari molto scomodi, i suoi detrattori videro, invece, in questo suo affermare “io penso-pertanto-esisto”, in piena corrispondenza tra il soggetto pensante e l'oggetto pensato, un processo che nasce, si sviluppa e muore esclusivamente all’interno degli appartamenti limitati del pensiero del soggetto pensante, attenendosi, così, alla sola sfera della soggettività e potendoci regalare un valore esclusivamente relativo, privo di assolutezza.E che differenza c’è tra l'essenza e l'esistenza se non quella stessa che distingue le idee dagli esseri? La prima, infatti, è pertinente e posseduta tanto dalle idee quanto dagli esseri, mentre l’esistenza è propria solo degli esseri…I principi logici su cui dovrebbe fondarsi la conoscenza possono spiegare che cosa sia una cosa e, conseguentemente, anche cosa non sia; ma non ne garantiscono l’esistenza. E l’Io penso dunque sono di Cartesio, diventa in Lacan un Io sono proprio là, dove non penso.Il filosofo parigino evoca un non-luogo con una sovversione del soggetto ed il cogito ergo sum di Cartesio si ribalta diventando un Io penso dove non sono, e quindi io sono dove non penso.                               
 La costituzione stesso dell'io è viziata da identificazioni fittizie e immaginarie che scindono l’io che si racconta dall’io raccontato…Nel momento in cui l’Io dice Io sono, parla già di un Io che non è più lui, perché per poterne parlare deve scinderlo dalla sua stessa essenza, spaccandolo. Quindi l’immagine di noi stessi raccontata e presentata al mondo, altro non sarebbe se non un Io immaginario.Eppure…paradossalmente…proprio questa schizofrenia umana universale che divide ed allontana il nostro Io da se stesso, imbandendolo di artificiosità apparecchiate dal pensiero, potrebbe essere anche il mezzo più utile per ricondurre l’Io ad una autocoscienza. Se lette alla luce giusta, infatti, proprio le stesse rappresentazioni immaginarie ed aliene che l’Io fa di se stesso, possono essere un’inaspettata chiave d’accesso per trovarsi.Così accade che quando ci raccontiamo, pur non essendo lì, dove avviene il racconto, possiamo ugualmente offrire a noi e al mondo, involontari ma rivelatori indizi… Se l’io è là, dove non pensa e dove non si esterna raccontandosi, può, comunque, attraverso l’artificio del suo racconto, offrirci frammenti di sé, gettati e perduti qua e là, nel cammino della sua finzione.Frammenti accidentali che, se raccolti e decifrati, raccontano il “noi” nascosto da noi stessi in un involontario smascheramento di quel mistificatore alla ricerca del vero chiamato Io.   L’immaginazione è “la pazza di casa”, m’insegnarono al liceo. La realtà è peggio, risposi: è la scema del villaggio. (Gesualdo Bufalino)