"Il Blues è qualcosa che si porta dentro. Qualcosa che hai addosso quando non hai soldi, non puoi pagare l’affitto, non hai di che mangiare. E guardi quelli che hanno quello che non hai. E ti vengono idee cattive, che normalmente rifuggiresti." (Howlin' Wolf)
Mi sono persuasa a parlare di musica pur essendo incapace di produrre qualsiasi nota all’infuori di quelle si, si do, re, re do si, la…sol, sol et cetera, che servono a comporre l’Inno alla gioia suonato con il flauto alle scuole medie. E saranno passati circa una trentina di anni da allora...A nulla sono valsi i desideri della mia nonna paterna quando credeva che per il solo fatto di avere le dita da ragno potessi essere predisposta all’amore verso il pianoforte, e neppure i pareri (devo ammettere discordanti) riguardo alla mia capacità di produrre suoni vocali con una certa intonazione o grazia…No, non sono una musicista.Però, se vi interessa, vi dico che se mai avessi sentito l’esigenza di suonare, credo che avrei optato per il violoncello o, al limite (tanto si sta sognando, no? quindi posso dirlo...) il sax.Ma di sicuro c’è che avrei cantato il Blues…E questo perché conosco tutti i suoi diavoli.
Tutto ciò per spiegare cosa mi abbia mossa ad impostare (anche nel senso proprio di “mettere su un post”) uno scritto che parlasse esclusivamente di quelle note che prima sdruciscono e poi riparano l’anima e che prendono definizione e titolo dallo stato d’animo da ...“diavoli blu”. Vale a dire: il Blues e il Jazz!
E' piuttosto difficile capire cosa siano queste due musiche, in realtà. Ed è molto complicato anche trovare una risposta univoca e completa che definisca in modo dettagliato le differenze fra l'una e l'altra, però mi hanno convinto a provarci proprio tutte quelle numerose risposte vagamente supponenti e molto fumose, incredibilmente (e forse giusto un tantino volutamente) vuote, che vengono date da alcuni ipotetici esperti, alla domanda di altri, riguardo al confine tecnico ed espressivo fra Blues e Jazz.Iniziamo con un ordine cronologico e con la geografia, quindi. Partendo dagli anni della schiavitù, che ha inizio nel XVII secolo e si protrae fino oltre la metà del 1800.I primi africani che sbarcarono nel 1619, in qualità di servi della colonia inglese della Virginia, si dice non fossero più di una ventina; ma circa una quarantina d’anni dopo, quando la schiavitù venne riconosciuta ufficialmente, furono, invece, centinaia di migliaia le persone che vennero catturate per venire deportate dalle coste orientali dell'Africa anche in altre colonie, ed in particolare in Carolina, in Georgia e in Louisiana.Alla fine del XVIII secolo l’industria inglese richiedeva una sempre maggiore produzione alle ex-colonie americane. Le piantagioni da lavorare erano sterminate ed occorreva un numero sempre più elevato di manodopera da pagare a costi irrisori, così si cercò di sfruttare fino all'estremo quel commercio disumano di umanità schiavizzata, già iniziato dai portoghesi e dagli spagnoli.Sradicati dalla loro terra, dalle loro tribù e dai loro stessi legami familiari, tutti gli uomini, le donne ed i bambini ridotti in schiavitù si ritrovavano in condizioni di vita intollerabili, a lavorare al limite della sopportazione, senza sosta, malnutriti e senza nessun tipo di considerazione umana, esclusivamente e totalmente sottoposti all’autorità invariabilmente violenta oltre che immotivatamente crudele dei loro padroni, che li prosciugavano momento dopo momento di qualsiasi basilare forza vitale.Durante le ore di lavoro, nel tentativo di alleggerire la fatica e nella speranza di arrivare alla fine della giornata, ma talvolta anche obbligati dagli stessi loro padroni, gli schiavi iniziarono a cantare la loro alienazione scandita nelle Work-Songs, un insieme di grida e di intonazioni che servivano da incitamento al lavoro, emesse con un ritmo cadenzato sullo sforzo fisico ed accompagnate dall’utilizzo di recipienti di latta che simulavano gli strumenti a percussione.Così si formavano le canzoni: una voce solista pronunciava una frase principale ed il coro replicava.
Non erano, però, solo work songs le melodie cantate dagli schiavi; tra le loro intonazioni c'erano anche i canti dedicati a Dio, preghiere intrecciate su una speranza che lenisse la loro condizione, anch'essi nati dalla disperazione ma del tutto proiettati verso un riscatto ed una liberazione almeno futura, anche se non prossima...Così, mentre i missionari si prodigavano nella conversione cristiana degli schiavi, negli animi oppressi nascevano gli Spirituals, canti religiosi collettivi dalla vocalità molto aperta e a tratti rauca, sempre composti da una struttura responsoriale impostata dalle domande del solista e dalle risposte improvvisate del coro ed accompagnata da frequenti battiti delle mani e dei piedi.I testi dei canti Spirituals venivano totalmente tratti dalla Bibbia, mentre quelli che facevano riferimento ai soli Vangeli, sono ancora oggi conosciuti come Gospel. Solo dopo la guerra di Secessione, però, e quindi con la liberazione degli schiavi, si assiste all’entrata in scena di tutta questa eredità musicale pervenuta dalle Work-Songs e dagli Spirituals, un'eredità battezzata appunto dal mondo come la musica dal colore malinconico...il Blues.Le strofe del Blues hanno generalmente tre versi di quattro battute ciascuno, di cui due sono stabili e restano uguali mentre le altre due sono un’improvvisazione introduttiva ai versi successivi e venivano accompagnate da strumenti come il banjo, prima, e dalla chitarra, in seguito.Il canto azzurro, erede delle canzoni da lavoro e degli inni a tema religioso, è, però, solitario e individuale oltre che totalmente profano. Il blues racconta, infatti, nuove storie che sono legate alla vita, all’amore, ai legami spezzati e non più al lavoro forzato o alla suplica verso il Signore. Eppure la medesima sensazione senza uscita di questo “to be blue”, privata della speranza degli Spirituals e del Gospel, è sempre la costante.Perchè questo malessere che cade addosso come un vestito livido di ambiguità, in dodici note che si ripetono, ripetitive e ipnotiche, estraneo e tarlato è l’umore di chi è stato visitato dai diavoli blu ed è abitato da loro.Le note blu, infestate e malinconiche, strappate dall’anima e ricucite nell’anima, fatte di impalpabile e irraggiungibile ricordo di qualcosa che ci è stato sottratto ma che aleggia, tra il turbamento alienato e il desiderio più caldo e familiare, non sono altro che tutta la nostra tensione indefinibile. Dolce, dolorosa e logorata da un dondolio continuo e lievemente calante. E tutto questo nella musica blu si esprime in un adattamento della scala maggiore europea dai gradi (il terzo e il settimo) abbassati, sfumando i collegamenti.Il Blues è la malattia dei diavoli blu. E come scrive Scafoglio nel suo libro, è la musica delle cose che non si dicono, quella della serpe nello stomaco e delle cose che non si ammettono ma che si fanno.Il Blues è un sortilegio di derealizzazione in un invasamento di angoscia dal sapore dolciastro e stridente dell'anice, ed è la musica delle cose che non si vedono, del sole che non riesce più a scaldare, della nausea, e soprattutto della volontà di morire dentro un desiderio, restando sempre, inesorabilmente, da soli nell' affrontare i propri diavoli. Ed i diavoli blu esplosero dando il meglio di loro nella musica con i concertisti e i compositori di origine africana. Ma questi non suonarono ancora, all'inizio, come artisti liberi e furono considerati solo come i nuovi cantastorie per i fruitori dalla pelle chiara.Non tardò, infatti, a farsi sentire la reazione razzista che indusse tutti i musicisti dalla pelle scura e dall’animo blu a rinchiudere la loro musica in bettole e bordelli.La musica dei diavoli divenne una musica reclusa.
A New Orleans, però, si assiste alla comparsa di quella nuova espressione nata dalla costola del Blues, che nella prima metà del ‘900 verrà chiamata Jazz.Una musica che, se per alcuni prende il nome da un termine congolese che indica l’eccitazione, per altri ricalca ancora il significato di incitamento, rifacendosi al lavoro nelle piantagioni e riprendendo la derivazione del termine, jass, dal semi-leggendario suonatore di trombone Jasbo Brown ed infine, per altri ancora, deriva dal jaser francese (nel suo significato di gracchiare, ma anche di copulare).In ogni caso, però, qualunque sia l’etimologia di questa eccitazione rumorosa e gridata, oltre che sospinta da incitamenti, si sta parlando di una musica che porta su di sé una lunga tradizione di work-songs, spirituals e blues per arrivare ad essere quello che è: blue note, improvvisazione e flessibilità che producono un’irripetibile unicità del brano all’interno di uno schema prestabilito, ritmo sincopato, libertà nella durata dei suoni (che possono abbreviarsi o dilatarsi) ed utilizzo del vibrato.La struttura del Jazz consiste in una base melodica seguita da un numero indefinito di risposte espresse in improvvisazioni o variazioni sul tema iniziale e si muove sulle sue radici africane, in un substrato di risorse armoniche composte da un variegato gioco di note ambigue che passano dalla sensazione dell’angosciosa frammentarietà di una perdita, alla nostalgia più blu fino all’urticante bisogno di una reazione.Così, Signore e Signori, dopo il Blues eccoci servito il Jazz... un rumoroso dissenso dell’anima, stridente, cacofonico e in un certo senso orgiastico.Perché se il primo è un demone dal colore blu che ci accarezza sventrandoci, il jazz è la musica di un urlato dissenso dionisiaco. Una musica che nacque quando i diavoli blu di un’afflizione cantata si sciolsero in un malsano struggimento fatto di sola musica.
P.S. Oggi è il 07 luglio, e questo lo posto oggi perchè è il compleanno di una persona che per me è musica...e come me, conosce fin troppo bene l'umore blu ,-)