Nessuna promessa

TORINO, UN ANNO DOPO


Cappello, pile rosso, giacca a vento, zainetto, scarponcini. Pronta per il viaggio Bardonecchia - Sestriere Colle. Treno per Oulx,  pullman WFK1, fino a Sestriere, poi altra navetta per raggiungere il Colle.  Due ore di viaggio.
La fila ai varchi del metaldetector, gli occhi assonnati dei carabinieri in tuta da sci, l'altra coda per ritirare i buoni pasto e  farsi mettere il timbrino di presenza sul libretto. Il freddo che punge, un' ultima salita.
La pista, finalmente.  Immacolata, anche se per arrivarci bisogna camminare nel fango. E loro, gli sciatori, che scendono giù, a più di cento all'ora. Ad aspettarli a valle, i tifosi, le telecamere, i giornalisti. E pure io. "Flash quote reporter" la mia mansione. Ovvero, cercare di capire le parole degli atleti a fine gara e riportarle alla responsabile dell'Olympic News Service, l'agenzia di stampa del comitato olimpico.
Un anno fa a Torino bruciava la fiaccola olimpica. E posso dire che c'ero anch'io. Me lo ricordo come un viaggio continuo, quel periodo. Navette, treni. Una volta ho preso quello sbagliato. E mi sono ritrovata in un buco di paese alle 11 di sera. Non c'era niente. Solo i due immancabili poliziotti. Con il treno successivo che sarebbe passato dopo quasi un'ora. Telefonata disperata ad un amico, che sta al caldo, a duecento chilometri di distanza. E mi dice che vorrebbe essere lì al posto mio. "Sei matto" gli  rispondo io, mezza congelata. Invece aveva ragione.