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Telenovela petrolifera


da il Centro — 24 novembre 2010 : PESCARA. La telenovela dell'Abruzzo petrolifero non si è conclusa il 2 novembre con l'approvazione della legge regionale "Tutela della costa teatina" concordata con il governo. Anzi, quella «è la legge peggiore di tutte», dice Enzo Di Salvatore , docente di diritto costituzionale all'Università di Teramo e autore di un libro prezioso: "Abruzzo color petrolio" (Edizioni Palumbi, 10 euro, prefazione di Dacia Maraini ) dove si ricostruisce minuziosamente, norma dopo norma, comma dopo comma, i tentativi della Regione di salvarsi dalla petrolizzazione selvaggia.Da quella legge non c'è da attendersi nulla di buono, dice Di Salvatore, al massimo il ritiro del ricorso del Governo pendente in Corte Costituzionale sulla 32 del 2009, la norma che la legge del 2 novembre dovrebbe correggere.L'udienza in Consulta doveva esserci il 4 novembre, ma in quella sede il governo disse che avrebbe aspettato di esaminare la nuova legge regionale per decidere se andare avanti con l'impugnativa. La Consulta ha rimandato l'udienza a nuova data.Professor Di Salvatore, perché dice che questa è la legge peggiore? Il testo è stato concordato con il governo per evitare nuove impugnative. «E infatti qui lo Stato interviene due volte invece che una. E poi la legge sembra introdurre un divieto che non è un divieto». La legge parla di incompatibilità delle attività petrolifere. «L'incompatibilità è una tutela che non tutela affatto.In più la valutazione di compatibilità è rimessa a uno strumento tecnico, il "Via", che trasmette il parere alla conferenza di servizi e poi all'intesa Stato-Regione». E se l'intesa non si trova? «Lo Stato può decidere unilateralmente».Insomma niente rischio impugnative, ma anche niente tutela dal petrolio. «Ma non è detto che se il governo non impugna la legge, questa si salva comunque dall'illegittimità. Basterebbe che una compagnia petrolifera sollevasse la questione di illegittimità davanti a un Tar che tutto verrebbe rinviato alla Consulta».Il rischio c'è? «Questa legge mi sembra costituzionalmente più illegittima dell'ultima, perché non dice a chiare lettere che cosa si può fare e che cosa non si può fare». Il suo libro ha un sottotitolo molto esplicito: "Breve viaggio nel caos giuridico degli idrocarburi". Perché parla di caos? «Perché la materia è ancora tutta da disciplinare, a parte alcuni aspetti. Per esempio, per motivi di tempo nel libro manca il riferimento all'ultimo provvedimento del governo che si occupa di proteggere la fascia costiera dalle attività petrolifere».Il provvedimento chiesto dalla ministra Prestigiacomo? «Sì, quella norma fa divieto di estrazione entro le 5 miglia marine e tutela in maniera assoluta le aree protette marine e per 12 miglia l'area marina prospiciente. Il divieto riguarda solo le fasi di attività petrolifera con esclusione della lavorazione. Su questa interviene però la legge del 1991 per le aree protette. Ecco, al di là di queste due norme, il resto è tutto da disciplinare». Per la Regione ci sono margini di manovra per evitare le trivelle?«Ci sono, ma probabilmente in questo momento la questione non è nel pensiero del governo nazionale e del Parlamento. In più c'è la Corte Costituzionale che in alcuni pronunciamenti sulle fonti rinnovabili, penso alla legge della Regione Puglia, ha escluso che in materia di energia ci possano essere ampi margini per le Regioni.Però il diritto comunitario dà alle Regioni la possibilità di intervenire». In che modo? «La Ue fa salva la libera circolazione delle imprese, ma ammette una deroga per le attività che danneggiano l'ambiente». Ma, si dice, l'energia è un tema strategico per il paese e lo Stato non vuole intromissioni. «Il governo ha provato a utilizzare questo argomento in maniera strumentale, ma la Corte costituzionale in sentenza l'ha esclusa.Non esiste una strategia economica nazionale. Sull'energia ha competenza la Regione, lo Stato è competente sui principi». Nel ricorso alla legge 32 il governo ha obiettato che non si possono indiscriminatamente vietare insediamenti produttivi, ma che la cosa va valutata caso per caso. «In quel caso la Regione avrebbe potuto specificare nella legge i casi di tutela e non vietare incondizionatamente. E' chiaro che nelle zone naturali protette è necessario un divieto assoluto, in altre zone la materia va regolamentata, richiamandosi a quello che la direttiva Ue consente». © RIPRODUZIONE RISERVATA - Antonio De FrenzaIl Centro