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Dialetti e lingua

Post n°2 pubblicato il 25 Luglio 2005 da emma_bovary0

L’Italia dal punto di vista linguistico è notevolmente differenziata al suo interno ;oltre all’italiano notiamo la presenza di una notevole varietà di dialetti,tratto che caratterizza la linguistica italiana moderna ma anche antica. Dante ,per primo,nel De vulgari eloquentia ci da una classificazione avvalendosi di un criterio geografico:  l’Italia è divisa in due parti,una a destra e una a sinistra della linea formata dal giogo dell’Appennino. L’Italia presenta una varietà di almeno quattordici volgari,i quali poi si differenziano al loro interno.

Il termine dialetto è un cultismo nella tradizione linguistica italiana;le sue remote origini risalgono al greco dialektos che significa dapprima ‘colloquio,conversazione’,poi anche ‘lingua’,’lingua di un determinato popolo ’;passato in latino il vocabolo indica ‘parlata locale assunta a importanza letteraria ‘. La nozione di dialetto greco con riferimento all’antica Grecia è familiare agli umanisti italiani del Quattrocento che la esprimono con diversi vocaboli latini (lingua,idioma,sermo)e,a partire dal 1473,anche con la parola dialectus;negli scritti in italiano , la forma dialetto non compare prima del 1546 ad opera dello scrittore e lessicografo cinquecentesco Niccolò Liburnio.

Dal secondo Cinquecento letterati italiani nei loro scritti si riferiscono a dialetto con un’accezione subordinata a lingua, intendendo una varietà meno prestigiosa rispetto a una più prestigiosa.

Sempre nel Cinquecento vive la cosiddetta questione della lingua,una polemica intorno al tipo di lingua da considerare come norma linguistica per poter fissare la grammatica per gli scrittori italiani sintetizzabile in questi orientamenti principali: uno a favore del toscano, e uno a favore della lingua comune o cortigiana che prenda elementi dai vari dialetti parlati presso le diverse corti. La soluzione che prevale è quella proposta da Pietro Bembo che consiste nell’imitazione dei classici fiorentini trecenteschi considerati il modello.

Per diversi secoli però in Italia la parlata nettamente prevalente è sempre il dialetto. L’Italiano ,fissato sulla base del fiorentino scritto trecentesco,è solo una lingua che si scrive che si legge e che si studia a scuola,ma è parlata da un numero limitato di persone ,almeno fino alla seconda metà del XIX secolo. La diffusione della lingua nazionale è favorita da circostanze diverse:l’unificazione nazionale con il suo apparato burocratico,la scuola,i mezzi di comunicazione,l’urbanizzazione.

Più si espande l’italiano meno si usano i dialetti,ma ciò non significa che i dialetti stiano scomparendo. Le statistiche informano che i dialetti sono adoperati o conosciuti ancora da buona parte della popolazione che spesso alterna, e mescola, nell’uso quotidiano,italiano e dialetto,specie al Sud. Parlare di dialetti italiani equivale ad adoperare un’espressione non priva di ambiguità. Forse sarebbe più opportuno riferirsi a dialetti dell’Italia piuttosto che italiani.

Il dialetto,oggi,va inteso con due diverse accezioni:

-un sistema linguistico autonomo rispetto alla lingua nazionale

-una varietà parlata della lingua nazionale,ovvero una varietà dello stesso sistema.

Dialetto e lingua sono collegati in quanto sviluppi del latino e per i rapporti che da tempo si sono instaurati tra loro. Esistono anche le varietà locali della lingua nazionale ,chiamate italiano regionale,cioè quelle varietà della lingua connesse a fattori diatonici (o geografici o spaziali)e dovuti al fatto che la lingua si è diffusa su comunità che erano generalmente solo dialettofone.

I principali italiani regionali sono quello settentrionale , centrale , romano , meridionale,meridionale estremo e sardo . Gli italiani regionali si possono dunque considerare la vera realtà parlata dell’italiano.

Per quanto riguarda i dialetti,invece,essi hanno una loro grammatica e un loro vocabolario; sono il risultato di un processo di trasformazione e differenziazione del latino parlato diffuso ,attraverso la conquista romana,non solo in Italia ma anche in buona parte dell’Europa e lungo le coste dell’Africa settentrionale. Durante l’espansione romana ,nelle varie regioni vivono genti parlanti altre lingue ( celtico,etrusco,osco-umbro)le quali finiscono per apprendere ed usare il latino sentito come lingua più prestigiosa tralasciando progressivamente l’uso della propria lingua. Il latino come tutte le lingue non è omogeneo; è una lingua che cambia nel tempo e nello spazio . La varietà parlata risente di tutte le differenze connesse con la classe sociale ,l’area geografica ,l’ambito cronologico. La variante scritta ,invece,tende a riprodurre nel tempo le stesse forme .

Dai documenti che si possiedono,si può dire che intorno ai secoli VII – IX d.C. ciò che si parla non è più il latino ,il quale,ormai , si è talmente modificato da aver dato origine ad altre varietà ; si tratta delle lingue romanze o neolatine , di cui i dialetti dell’Italia rappresentano una sezione.
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