PENSIERI SPARSI

Post N° 56


visto il mio prossimo viaggio ad Atene, ho deciso di mettere un post (purtoppo molto lungo), ma che già da tempo volevo inserire. la traduzione dal greco l'ha fatta un mio prof. di archeologia. non so chi avrà voglia e pazienza di leggerlo, ma considerate che stiamo parlando di uno dei padri della storiografia,  Tucidide, nato nel 460 a.C. ad Atene e morto nel 395 a.C.!! questo è solo un passo, dal 35 al 42 del libro secondo, di un'opera interamente dedicata alla Guerra del Peloponneso ( 431-404 a.C.) parla di politica, di società, di diplomazia, di civiltà solo apparentemente lontane da noi...a chi volesse....buona lettura!!!Tucidide II .35‑42 35 La maggior parte di quelli che in passato hanno parlato da questa tribuna elogiano chi ha aggiunto questo discorso al cerimoniale in uso, ritenendo bello che esso sia pubblicamente pronunciato sui caduti in guerra che si seppelliscono. A me basterebbe in realtà che, trattandosi di uomini valorosi nei fatti, con i fatti si rendesse loro onore, come vedete che si fa ora qui intorno alla tomba a spese dello stato , e che il valore di molti non corresse il rischio di dipendere nella sua credibilità da un uomo solo, a seconda che parli bene o male. 36 Comincerò dapprima dai nostri antenati. E cosa giusta e insieme buona rendere loro in una circostanza del genere questo onore del ricordo. Essi infatti, sempre abitando questa terra senza interruzione attraverso le generazioni fino ad ora, ce l' hanno consegnata libera grazie al loro valore. [2] E se quelli sono degni di lode, ancor più lo sono i nostri padri: hanno aggiunto a quello che avevano l'impero che possediamo e a prezzo di qualche pena l' hanno lasciato in eredità a noi di adesso. [3] Per quanto è arrivato in più di dominio siamo proprio noi del nostro tempo, nel pieno della maturità, ad averlo ingrandito e ad aver reso la città autosufficiente in tutto sia per la guerra sia per la pace. [4] Di tutto ciò lascerò perdere le imprese di guerra con le quali ogni cosa è stata conquistata o il fatto che noi stessi o i nostri padri abbiamo respinto con coraggio la guerra dei barbari o dei Greci che ci assaliva, poiché non voglio farla lunga davanti a gente che è informata. Mi accingo a mostrare invece, prima di arrivare all'elogio di questi uomini, quale condotta ci abbia portato a questa situazione, con quale regime politico e grazie a quali caratteristiche ci sia stata crescita, poiché ritengo che in una circostanza del genere non sia inopportuno dire queste cose e che per la folla di cittadini e stranieri sia utile ascoltarle. 37 Abbiamo un regime politico che non si ispira alle leggi dei vicini, poiché noi siamo piuttosto un paradigma per alcuni che imitatori di altri. E quanto al nome, dato che essa (costituzione) governa non per pochi ma per i più, è chiamata democrazia. nei contrasti privati tutti sono uguali davanti alla legge, mentre per quanto riguarda la valutazione della persona, a seconda che ciascuno goda prestigio in qualche campo, quello viene preferito nella gestione del comune interesse non per l'appartenenza a una classe sociale più che per i suoi meriti e tanto meno, quanto alla povertà, viene emarginato dalla modestia della sua posizione, se può fare qualcosa di buono per la città. [2] Il nostro governo dà libertà nei rapporti all'interno della comunità e anche nei confronti del sospetto reciproco nella vita quotidiana, poiché non ci arrabbiamo con il vicino se fa qualcosa per il suo piacere né ci diamo quel fastidio che non porta magari dolore ma è comunque sgradevole a vedersi. [3] Gestendo i rapporti privati senza danneggiarci, nella vita pubblica non commettiamo reati soprattutto per rispetto, in obbedienza a quelli che di volta in volta sono al potere e alle leggi, soprattutto quante sono poste a difesa di chi subisce torti e quante, pure non scritte, portano (a chi non le rispetta) una riconosciuta vergogna. 38 Abbiamo assicurato al nostro spirito innumerevoli sollievi delle fatiche, organizzando giochi e feste per tutto l'anno, con eleganti arredi privati, il cui godimento ogni giorno scaccia le contrarietà. [2] Per la grandezza della città da tutta la terra arriva ogni prodotto e capita a noi di godere dei beni di qui non meno che di quelli altrui. 39 Anche negli impegni della guerra siamo diversi dai nemici per quel che segue. Mettiamo in comune la nostra città e non c'è caso che con espulsioni di stranieri noi escludiamo qualcuno dall'imparare o dal vedere cose che un nemico, vedendole in quanto non nascoste, potrebbe sfruttare; infatti ci fidiamo piuttosto della nostra stessa audacia al momento di agire che delle precauzioni e delle furberie. Anche nel campo dell'educazione alcuni con un continuo allenamento subito fin da ragazzi inseguono il coraggio, noi invece, pur vivendo senza costrizioni, nondimeno affrontiamo pericoli della stessa portata. [2] Prova ne è che i Lacedemoni non invadono la nostra terra da soli ma con tutti i loro alleati, al contrario quando noi aggrediamo da soli quelli di fuori senza difficoltà per lo più vinciamo in terra straniera contro uomini che difendono i loro beni. [3] Mai finora le nostre forze sono state impegnate tutte insieme contro un nemico, a causa del contemporaneo impegno della flotta e dell'invio per terra di contingenti in molte direzioni; eppure il nemico, se si scontra con un nostro squadrone e ha la meglio su pochi, si vanta di aver respinto tutti noi; se è sconfitto, dice di esserlo stato da tutti noi. [41 Orbene se è vero che ci esponiamo ai pericoli più con il lasciar vivere che con l'allenamento alle fatiche e con un coraggio che dipende meno dalle leggi che dal carattere, ci resta il vantaggio di non soffrire in anticipo le pene che ci aspettano e di mostrare, quando le affrontiamo, la stessa audacia di quelli che se ne preoccupano continuamente. Da questo punto di vista e da altri ancora la nostra città è degna di ammirazione. 40 Amiamo il bello con semplicità e amiamo il sapere senza debolezza. Utilizziamo la ricchezza per la possibilità che essa dà di agire più che per vantarci a parole; e non è una vergogna ammettere di essere poveri,  bensì lo è di più il non far niente per uscirne. [2] E’ concesso a una stessa persona occuparsi degli affari suoi e di quelli dello stato e se pure ci dedichiamo ad altre incombenze, tuttavia non ci manca la conoscenza delle questioni della città. Soltanto noi giudichiamo chi non partecipa a nulla non disimpegnato bensì inutile e noi giudichiamo o almeno riflettiamo come si deve sulle questioni: infatti non pensiamo che la discussione sia un ostacolo all'agire, lo è al contrario il non essere informati attraverso la parola prima di entrare in azione. [3] Possediamo in modo diverso dagli altri questa qualità, cioè che possiamo mostrare la massima audacia e insieme fare calcoli su quello che intraprendiamo, mentre negli altri è l'ignoranza a produrre audacia ed è il calcolo a produrre esitazione. Si devono giustamente considerare molto forti d'animo coloro che distinguono chiaramente le cose penose da quelle piacevoli, senza per questo lasciarsi spaventare dai pericoli. [4] Anche riguardo alla generosità siamo diversi dai più: abbiamo amici in conto del bene che facciamo, non dì quello che riceviamo; chi fa il beneficio è un amico più sicuro: si comporta in modo da perpetuare con la sua benevolenza la gratitudine del debitore; al contrario chi è in debito è più incerto, poiché sa che spende la sua generosità non per averne riconoscenza ma per pagare un debito. [5] Noi soli aiutiamo qualcuno senza paura, non per calcolo dell'utile più che per la fiducia che è propria della libertà. 41 Riassumendo dico che tutta la nostra città è la scuola della Grecia e che, così mi pare, i nostri uomini individualmente mostrano una personalità abbastanza completa per un gran numero dì ruoli e con una versatilità in misura decorosa. [2] E che si tratti non di una vanteria a parole fatta sul momento ma piuttosto di una verità dei fatti, lo dimostra la potenza stessa della città che abbiamo raggiunto con questi comportamenti. [3] Essa sola tra le città contemporanee alla prova si rivela superiore alla sua fama ed essa sola né dà al nemico che l'assale motivo di irritarsi, se egli pensa per mano di chi soffre danni né dà ai popoli sottomessi motivo di recriminazione su un dominatore che non è degno. [4] Dopo che abbiamo spiegato con importanti segni e certo non senza prove la nostra potenza saremo ammirati dai contemporanei e dai posteri, senza aver bisogno delle lodi di un Omero o di uno che con i suoi versi ci rallegrerà per un attimo, mentre la verità smentirà le supposizioni sui fatti: noi abbiamo costretto tutto il mare e la terra ad aprirsi alla nostra audacia, piantando dappertutto i ricordi eterni delle nostre fortune e delle nostre sventure. [5] Per una simile città costoro, nobilmente rifiutando di esserne privati, sono morti combattendo ed è naturale che ciascuno di quelli che resta accetti di soffrire per essa. 42 Per questo mi sono dilungato sulla città illustrando come la lotta non sia la stessa per noi e per quelli che non hanno alcuno di questi beni e insieme facendo risaltare attraverso segni evidenti l'elogio di coloro in onore dei quali ora sto parlando. [2] E il più è stato detto: i valori per i quali ho esaltato la città sono stati abbelliti dalla virtù di questi e di uomini simili e non per molti Greci, come nel caso di costoro, le parole troverebbero nei fatti una precisa corrispondenza. A me pare che la loro presente sventura riveli il valore di un uomo, tanto che ne sia la prima prova come che ne sia la conferma finale. [3] E anche degli uomini che sono stati, per il resto, inferiori a questi è giusto mettere in rilievo l'eccellenza umana nelle guerre in difesa della patria: cancellando con una bella impresa il male fatto sono stati più utili allo stato di quanto l'abbiano danneggiato nella vita privata. […]