end[or]fine.

Santa Claus si ubriaca per amore dei bambini.


Ebbene si. Ho trovato lavoro e sono ubriaco. Il direttore Henderson mi dice: " ora lei è un simbolo, i bambini credono in lei, sia degno di questo costume. Vada vada". La filodiffusione passa ‘Santa Claus is coming to town’ di Bing Crosby fino al senso di vomito, ho voglia di abbattere tutte le renne di panno lenci, ma ho trovato lavoro e sono confuso dall’alcol. Si muore di caldo. L'aria puzza di brownies al cioccolato e sudore. La commessa del reparto casalinghi mi sorride, poi con uno spray scrive “auguri” con le poppe schiacciate contro il vetro. Cazzo, mi tocca lavorare con Bertrand dell'ufficio lamentele. Di elfo vestito, ha una calzamaglia verde che fa pendant con l’alito e scatta stupide polaroid. Ma ho trovato lavoro. O meglio, il lavoro me l’ha trovato Gerald. Quello che riesce ad impilare 150 scatole di zuppa in meno di dodici secondi. E’ per questo che l'hanno selezionato. Serviva uno veloce. Sedici secondi e trenta invece, sono quelli che servono a me per far vedere alla commessa del reparto casalinghi, sotto il bancone, il regalo che Santa Claus ha nascosto per lei sotto la fibbia dorata, mentre le rubo i soldi della cassa. Alle cinque del pomeriggio la barba finta comincia a cadere e il whiskey nella fiaschetta sta finendo. Mi chiamo Herman e passo il natale da Kmart, di rosso vestito e con un barbone posticcio che pende di lato, tengo in braccio infanti sudaticci, che si ripuliscono il moccio sulle mie maniche di pelo finto, chiedendo regali che non avranno mai. Passerò il natale così, con la pancera imbottita di soldi, sussurrando nelle loro orecchie, un istante prima del flash, "Santa Claus non esiste".