end[or]fine.

[co]atto unico.


Ecco. Quelli  si danno alla fuga perché hanno fatto una rapina, e perché il palo s'è dato.  Mi chiamo Alvaro e faccio il barista al bar in piazza San Calisto. Lo sono da oggi, martedì, perché ho deciso di cambiare vita.  Quel signore fissa la signora che si specchia nella vetrina, e decreta, che è la donna della sua vita, anche se lui una vita non ce l'ha. La signora si sistema l’onda dei capelli specchiandosi nella vetrina del bar, poi controlla se ha del rossetto sugli incisivi passandoci la lingua sopra come una casalinga porno. Una zingara legge il futuro nei fondi pensione, all’angolo del bar. Ha appena detto ad un uomo con la divisa sbiadita e sgualcita da poliziotto, che avrà fortuna, che non deve avere paura di niente, che i dottori commettono sbagli. Lui beve il caffé ed esce dal bar. L'ultimo della sua vita, 90 centesimi senza scontrino.  Ha male in mezzo al torace, ma la zingara gli ha detto che deve temere nulla. Lui che da giovane percorreva i cento metri in 10” netti, e sto fijo de mignotta lo prende. E spara. Eccolo il proiettile. Attraversa tutta la piazza in direzione bar, saltando due stop e un’edicola.  Io sono il barista del bar San Calisto, da oggi, perché ho deciso di cambiare vita. Questo è il quarto cappuccino della mia prima giornata di lavoro e quello che mi è arrivato nel petto è il mio primo pezzo di piombo a forma di supposta fabbricato dalla spettabile ditta Buscheri e Pellagri. Me lo dicevano, il lavoro fa male. Avrei fatto meglio a non cambiare vita di martedì, e continuare a fare il palo."... mortacci tua, m'avevi detto che la guardia era zoppa, questo core come 'n struzzo io non c'ho più er fiato, dice è na' passeggiata de salute, ma a me qui me scoppia er core,  er palo s'è dato, st'infame, proprio oggi doveva cambià vita stò stronzo, de martedì..."... mortacci tua Alvaro...."