Frammenti

Carne tremula, da Rodin ad Almodóvar


tratto da http://www.mondointasca.org/ di Eleonora BoggioUn palazzo divenuto museo. La vita appassionata di un uomo che caricò il marmo di significati.
Auguste Rodin
Hotel Byron - Parigi, Rue de Varenne,77 
The Kiss, 1888-89 Visto da lontano l’Hotel Byron, al 77 di Rue de Varenne e ai piedi del Dôme des Invalides, ha tutte le fattezze di un castello. Costruito tra il 1728 e il 1730 sul piano architettonico di Jean Aubert, lo stesso che qualche anno dopo realizzò i disegni del castello di Chantilly, l’hotel fu commissionato da Abraham Peyrenc de Moras, parrucchiere arricchitosi durante la speculazione della carta moneta. Nonostante la fama che gravitava intorno ai neo-ricchi, Peyrenc mostrò subito grande gusto nella scelta di commissionare la realizzazione ad Aubert che, traducendo in mattoni le aspettative del primo, realizzò uno dei capolavori del periodo rococò. La bellezza delle facciate e dei frontespizi si mescolano alle armonie delle zone interne come, mostra il colpo d’occhio delle cinque sale dell’ala sud. Se il fascino del palazzo rimase invariato nel corso dei decenni, lo stesso non si può dire dei suoi estemporanei e repentini passaggi di proprietà. Giunto nelle mani del maresciallo Byron, trionfatore nella battaglia di Fontenoy, che regalerà il nome all’edificio, fu ceduto nel 1820 alla Compagnia del Sacro Cuore di Gesù, fondata nel 1804 dalla badessa Sophie Marat, che ne fece un collegio per l’educazione delle giovani leve aristocratiche. Ogni abbellimento fu rimosso: incisioni, sculture e dipinti banditi per agevolare un percorso di ascesi e castità. In quel periodo l’hotel conobbe il suo periodo più tetro, che raggiunse l’acme nel 1905 quando, confiscato in virtù della separazione tra chiesa e stato, appariva ormai come l’ombra di sé stesso. Dei saloni rutilanti di specchi, delle pareti stuccate di fresco e del parco dagli olivi millenari, non restava più nulla se non una carcassa vuota circondata da sterpaglie.
Rodin nel 1906 Prossimo alla demolizione, l’hotel Byron fu riscattato da un gruppo di intellettuali che lo elessero sede delle loro botteghe artistiche. Nel palazzo furono proposti convivi prima mensili, poi a cadenza settimanale fino a diventare quotidiani. Luogo di ritrovo dell’intellighenzia francese, l’hotel rivide gli antichi fasti grazie ai nomi della “fauve”: di Henry Matisse, di Jean Cocteau o di Isadora Duncan che aveva la sua scuola di danza in un salone, oggi distrutto, situato nella corte principale. Al gruppo di intellettuali controcorrente si aggiunse nel 1908 Rodin che, su consiglio di Rainer-Maria Rilke, prese possesso dell’ala sud del meraviglioso complesso di cinque sale in cui nacquero alcune tra le sue opere più toccanti. Con uno slancio vitale che lo scultore non aveva mai provato prima d’allora, colmò ogni angolo delle sue sculture, coprì i muri con i suoi schizzi e, sedotto dagli ancestrali percorsi del parco, lo riempì dei suoi pezzi ispirati al mondo mitologico greco-romano. Pur continuando a vivere a Meudon, nella tenuta che Rodin aveva acquistato per vivere con l’amata compagna Rose Beuret, la genesi artistica poteva sublimarsi solo al 77 di Rue de Varenne. L’aura creativa e il potente misticismo, facevano di questo luogo un santuario per l’artista. Un vero sacello in cui giorno dopo giorno, avveniva il miracolo della trasformazione: la metamorfosi del marmo in carne. Metamorfosi scultorea
Danaide, 1889 Lo accusarono di oscenità. Eppure Rodin non fece nulla di diverso che mettere l’uomo davanti allo specchio: essenziale nella sua nudità. Senza i filtri ricercati del manierismo. Al netto dei canoni vitruviani del neoclassicismo, dimenticando le tinte pastello dell’impressionismo, corrente del momento. Rodin paventava le eleganti ballerine di bronzo dai muscoli scolpiti e i lineamenti aristocratici. Pochi bozzetti, ma un concentrato di istinto: sotto il suo scalpello ogni cosa diventava torsione, dinamica, incompletezza. Altro motivo, questo, per il quale per ben tre volte venne bocciato all’esame di ammissione de L’Ecole des Beaux-Arts; “grande fortuna” come riconobbe lui stesso qualche anno dopo. Evitò così la rigidissima etichetta dell’accademia, a tutto vantaggio di un approccio libero alla scultura. L’Italia in primis, con il suo eclettico patrimonio culturale e Michelangelo nello specifico, delinearono maggiormente quello che divenne un nuovo modo di comunicare. “Andando in Italia mi sono innamorato del grande maestro fiorentino e le mie opere hanno certamente risentito di questa grande passione”. La forza di uno scalpello
Ugolino, 1882 Già Michelangelo mise l’uomo a nudo, ma mai nessuno, prima di Rodin, ebbe il coraggio di renderlo vivo. La chiave di volta del perché sia stato bistrattato da accademie e contemporanei è insita proprio nella sua scelta di proporre immagini che trascendevano la fisicità per diventare carnali. E incomplete. Come la “Danaide”, che nella roccia da cui trae vita trova la sua morte. Come “Ugolino”, in cui i figli sono fusi a formare un insieme con la materia o ancora come “l’uomo che cammina”, nato dalla fusione delle gambe del “Giovanni Battista” con un busto acefalo. Per Rodin ogni blocco di marmo conteneva in fieri una statua. Era sufficiente saperla trovare, rimuovendo la materia in eccesso. Questa teoria popolò i fogli parigini di fine ottocento, suscitando ancora una volta scandalo e ampi dissensi. L’hotel Byron nel frattempo fu confiscato. Questo in risposta alle ripetute richieste dello scultore, che desiderava trasformare il palazzo in un museo, ricettacolo delle sue opere. Fato volle che la richiesta fosse accettata nel 1918. Troppo tardi. Due anni dopo la sua morte la fondazione “Auguste Rodin” aprì i battenti al 77 di Rue de Varenne. Nelle cui stanze uno scultore controcorrente trasformò il marmo in carne vibrante. Anzi, tremula, come nell’omonimo film di Almodóvar.