Enodas

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  Ecco, non mi muoverò. Resterò seduto in questa stanza dalle pareti neutre e dalle forme curve, a disegnare un gigantesco otto o forse chissà, lo stesso infinito. Perché infinita é la bellezza che ho dinanzi agli occhi, immersi nei colori dell'acqua, del cielo, del cielo riflesso nell'acqua così come i rami cadenti che ne sfiorano la superficie. Infinita la bellezza delle ninfee, che corrono lungo grandi continuum secondo la luce del giorno e le increspature dell'acqua. Secondo gli occhi che osservavano, estraevano, magari già si strizzavano alla ricerca di una vista che iniziava a mancare. E poi dipingevano, tratti di pennello sull'anima, un'emozione indescrivibile osservare ed osservare ancora. Ed il ricordo di quando già sono stato. Tutto questo lo rende per me un luogo dell'anima. Seduto al centro di queste due stanze, potrei chiudere gli occhi e vedere, ammirare, sentire. Vorrei sfiorare quello che mi entra nell'anima, attraverso questi colori, impalpabili e pastosi allo stesso tempo. E, commosso, ascoltare il silenzio. 
 L'avevo inteso così, come un lungo viaggio di un giorno, un giorno e mezzo nel colore. Lo so che ripeto questa parola, ma non so trovare espressione diversa da questa. Immerso nel colore. Quello indescrivibile dell'Impressionismo, questo periodo unico della storia della pittura che in pochi anni ha cambiato il modo di narrare e parlare all'anima di chi osserva.Così, questo percorso si snoda attraverso Parigi, che altro posto non potrebbe essere per generare e custodire un tale tesoro. L'Orangerie é l'ultima tappa che si riserv ad un approdo conosciuto, una storia iniziata anni fa. Partenza dal Museo Marmottan, mai visto, defilato nella Parigi bene, a ridosso di un parco che potrebbe essere un quadro adesso come allora. Qui é custodita la nascita stessa dell'Impressionismo, con la tela che con disprezzo fu usata per affibbiare un nome. Una tela che adesso non é nemmeno pensabile trasportare, tanto é preziosa. Qui convergono Berthe Morisot, la pittrice dell'Impressionismo, i precursori e primi sperimentatori, Daubigny, Corot, Jonkind. Per poi sfociare nell'infinita arte di Renoir e Monet. La luce, il modernismo, i soggetti. Senza confini, come la grande sla che al termine del museo racchiude una serie impressionente di ninfee, una narrazione continua di venti anni di ricerca, osservazione e, alla fine sofferenza. Tanto che alla fine, tutte queste ninfee mi lasciano una lieve malinconia, una tristezza indefinita, siano i riflessi, le forme che scompaiono, l'acqua increspata, quell'immensita in cui "s'annega il pensier mio". 
 Il Musee d'Orsay, invece, é semplicemente pazzesco. E' una parola che gira e rigira nella mente, mentre cammino lungo il Quai di questa stazione. E' uno dei musei più belli in assoluto che conosca, che solo la consapevolezza di camminarvi, di sala in sala, di quadro in quadro, é una sensazione particolare. E se il pianterreno da solo colmerebbe il prestigio di un museo ricchissimo, pazzesco é il quinto piano, soprattutto, interamente dedicato all'Impressionismo. E' lo sguardo che si spalanca su un mondo di capolavori, uno accanto all'altro, mentre fuori, dalla finestra che é in realtà il quadrante di un orologio, si aprono i giardini del Tulerie e la collina di Montmartre. Come se tutto fosse la suggestione di una tela, ed un luogo dove degli uomini hanno saputo estrarre dalla propria sensibilità quanto di più bello potessero narrare e tramandare. Ecco, mi piace tornare qui, quasi mi esalta e mi scuote tremante passare tra queste sale, in questa stazione dove a volte ho lasciato qualche bagaglio di ricordi, in una sala d'attesa coperta dei colori più belli. 
  Quello che conoscevo di Gustave Doré era legato alla Commedia. Era legato alle incisioni, disegni evocatori in bianco e nero di un mondo fantastico che finalmente si materializzava su carta dopo averlo studiato a scuola. Tutto quanto ho visto al Musee d'Orsay é una lunga storia di un artista incredibilmente prolifico e, senza che mai lo avessi saputo, a tutto tondo. Illustratore, pittore, scultore. E grande viaggiatore, curioso di tutto quello che riportava su carta come istantanee dell'epoca, camminatore filosofo, sugli ampi paesaggi montani che schiudevano la sua arte e quell'interpretazione a tratti quasi religiosa che si trasfigurava nel paesaggio. Ma soprattutto, come dice questa mostra al Musee d'Orsay, era una straordinaria potenza immaginativa. Quella potenza che dava vita a fiabe, mostri e figure magiche, luoghi incredibili ed inaccessibili se non al nostro subconscio. Ecco, osservare questa straordinaria collezione fa piombare, pezzo per pezzo, in un mondo onirico, a volte lugubre e pauroso, a volte divertito, come se tutto il resto diventasse un'eco lontana. Avevo inteso questa esposizione come una scusa per tracciare un tragitto, un fine settimana, ed invece si é rivelata una scoperta di un artista tutt'altro che secondario, ricchissima di immagini e di suggestione, di colori scuri e fortemente evocativi, o di linee finissime tratteggiate una accanto all'altra a dar forma e volume. Quelle figure che popolano i libri che leggiamo da bambini o il mondo che vediamo da grandi, tutto incluso in un substrato che entra a far parte dell'immaginario collettivo, tanto potente da essere stato attinto ed utilizzato a piene mani da chi é venuto dopo, primi fra tutti i protagonisti delle arti del secolo moderno, il cinema, i cartoni animati, i fumetti. 
 Gustave Doré è indubbiamente uno dei più prodigiosi artisti del XIX secolo. Appena quindicenne, intraprende una carriera di caricaturista prima e di illustratore professionista poi - che gli procurerà una fama internazionale – prima di dedicarsi a tutti i settori della creazione: disegno, pittura, acquerello, incisione, scultura.Lo sconfinato talento di cui Doré è dotato porta l’artista a coltivare inoltre svariati generi, dalla satira alla storia, realizzando così, uno dopo l’altro, quadri giganteschi e tele più intime, brillanti e luminosi acquarelli , disegni a inchiostro sfumato di grande virtuosismo tecnico, vignette graffianti realizzate a penna, incisioni, illustrazioni bizzarre e perfino sculture barocche, stravaganti, monumentali, enigmatiche...Gustave Doré ha subito come Edouard Manet, suo esatto contemporaneo, il rifiuto della critica del suo tempo. Tuttavia, se Manet è diventato l'eroe della modernità, Doré rimane per molti il più illustre degli illustratori, e alcune sue illustrazioni della Bibbia o dell'Inferno di Dante resteranno per sempre impresse nella memoria collettiva.Forte di una straordinaria diffusione sia in vita che dopo la morte, in Europa come negli Stati Uniti, Doré è stato uno dei maggiori trasmettitori della cultura europea attraverso le illustrazioni dei grandi classici (Dante, Rabelais, Cervantes, La Fontaine, Milton…), ma anche di autori a lui contemporanei (Balzac, Gautier, Poe, Coleridge, Tennyson…).Lo sua creatività sembra non conoscere limiti: disegnatore, caricaturista, illustratore, acquerellista, pittore, scultore... Doré si afferma come artista proteiforme nei maggiori generi e formati dell'epoca, dalla satira alla religione, dallo schizzo alle tele monumentali.Oltre ad occupare un posto di primo piano nella cultura visiva del XIX secolo, egli segna l'immaginario del XX e quello di inizio XXI, tanto nel fumetto, di cui è considerato uno dei padri fondatori, quanto nel campo cinematografico. Come nessun altro artista del suo secolo, Doré adopera le tecniche più disparate per mostrare attraverso il filtro del suo "occhio visionario" lo spettacolo ricco e pullulante della poesia frutto della sua immaginazione, come alla perenne ricerca di nuovi confini. [...]