Enodas

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  12-15 Giugno Sobbalzo. I bambini a prua urlano di gioia ogni volta. Uno schizzo d'acqua sfiora il viso. Musica a tutto volume, ed il pescatore al timone che torna indietro, a puntare le onde di fronte, ancora, per far divertire i suoi piccoli passeggeri. Fuori dalle mura di Acri, una prospettiva diversa: quella che vedevano i Crociati quando approdavano alla Terra Santa, quella che era una meta agognata per i pellegrini. Quella che ho io, quasi per caso, quando un esatore mi invita a salire, verso fine giornata, per vedere dal di fuori ciò che ho visto dal di dentro. Il Mare Nostrum é dei bambini, quelli a prua, ed i ragazzini che nuotano di fronte al porto. Alcuni addirittura tuffandosi direttamente dalle mura. Almeno per un momento, un'immagine positiva ad un'espressione che negli ultimi mesi é diventata tragica. Raramente come qui, questo mare é quello che ci portiamo dentro, che segna la nostra cultura. E' quello che siamo, pur con tante differenze, come l'odore degli olivi, come il sole che scalda e pure il colore della pietra. Nonostante sia una musica diversa, nonostante le persone che siedono ai lati della barca sono defferenti, sento nel mare, nel calore della vita, per i suoi colori, una comunanza per le cose che amo. Nella luce del tramonto mi rivengono in mente gli ulivi attorno Gerusalemme, mi vengono in mente immagini, e davvero mi spiace pensare che una terra così bella sia tanto lacerata. 
 Questa roccaforte, così piccola oggi, così fondamentale allora. Un cittadella che é rimasta intatta, con tutto il suo fascino, pur attraversando distruzioni e declini, battaglie e sforzi sovraumani per difenderla. Del resto é un simbolo talmente potente ed evocativo quello della croce templare. La città dei Crociati. Affonda nella terra, o meglio, nella pietra, quella delle scogliere sopra le quali sono stati impressi pilastri enormi, come doveva essere la fede che li sorreggeva. Attraverso un dedalo di vicoli, un labirinto pieno di angoli e di colori, di ombre e di caravanserragli nascosti dietro le case. E' così, sotto un passaggio che incontro Padre Quirico, un uomo che mi saluta in italiano istintivamente e che si ferma quando altrettanto istintivamente gli rispondo.Perché racconto la sua storia attraverso un breve incontro, é emblematica di questa città così come di tutta questa terra. Una vita spesa in Terra Santa, nella custodia dei luoghi, una parola colma di significati in un territorio sacro a tante confessioni. Lui, quasi da solo, é a guida di una scuola, una scuola che comprende tutte le classi e che si erge a fonte di sapere, di centro culturale in una realtà che rimane difficile. Che quello che mi incuriosisce di più é come in questo nodo arabo cristiano/mussulmano le famiglie scelgano di mandare i bambini dai Francescani. Ma non sempre senza un prezzo. Che i clientelismi ci sono, e persone importanti volevano imporre a padre Quirico di far sì che le divise della scuola non fossero necessarie e venissero anzi sostituite dal velo. Ci si muove su un equilibrio precario di proclami ed interessi, specie quando ci sono delle elezioni di mezzo, ed il Padre per anni ha dovuto restare lontano da Acri a più riprese per il suo rifiuto. Insiste, perché visiti la scuola, incontri i suoi studenti, veda i laboratori, in un misto di orgoglio per il lavoro fatto ed il desiderio di condividere la propria testimonianza.Ed io la scriverò così, con parole semplici come le sue, su queste mura che terminano solo nel mare, aspirando il sapore dell'aria che quassu sembra un po' più densa, ed udendo in lontananza le voci che si mescolano, i tempi che si sovrappongono, le vite che scorrono, da secoli, ad un passo da me. 
 Ancora in salita. Una strada che si arrampica sul monte Carmelo, il mio sguardo che ansima. Il mare, il porto, sono la scenografia. Una distesa infinita di case. Ma il fianco della montagna é un'incredibile successione di terrazze, di colori sgargianti ed uno squarco di verde. Che sono poi una specie di monumento alla pace ed al rispetto, secondo una religione un po' mistica, un po' sconosciuta. Ed infine é approdata qui, dove allora era solo sabbia, dove arrivarono anche moderni padri pellegrini, quasi due secoli fa, a costruire, edificare, proprio tra quelle sabbie. Tutto ciò che resta é una grande città caotica, la più grande di Israele in cui Arabi ed Ebrei convivono senza particolari problemi. Una nuova, altra faccia di una stessa medaglia che continua a girare tra le mie mani, in ogni mio spostamento, in ogni luogo. E difficilmente, ancora una volta, posso affermare con certezza ciò che vedo. Eppure, sono ormai alla fine del mio viaggio, scendo lungo quella costa che rappresentava un punto d'arrivo, un'ultima tappa. Dalle pendici di un panorama spettacolare, con una brezza che rende sollievo del caldo continuo. E' come se guardassi da questo punto privilegiato, sfiorando la bellezza di questi giardini, tutto ciò che ho vissuto, le domande cui non ho possibilità di avere risposta, gli infiniti mondi con cui sono venuto a contatto. 
 Così era iniziato. Un porto, un palazzo, un teatro. Di fronte al mare. Rimangono solo pietre scheggiate, un'eco lontana, e quella ben più reale di un'onda che si infrange sugli scogli. Penultima tappa. Un mare lontano, migliaia di anni, ed un mare di oggi, su una spiaggia dorata e l'acqua azzurra, e fresca quanto basta. Sono collegati da un ponte, un acquedotto, in realtà, che letteralmente si inabissa nella sabbia. E come queste rovine, quante cose, cerco di fissare nella memoria, in un'immagine, rimangono alle spalle.Ho il sole negli occhi. Un'ultima volta. Tornato ad un punto di partenza, infine, sull'ultimo tratto di mare, lo stesso, di tre settimane addietro. In questa metropoli moderna, dove tutto scorre familiare, anzi addirittura estremamente esagerato, ed un sobborgo antico di millenni. Quasi mi chiedo se abbia sognato, almeno alcune di tutte quelle cose che ho visto e vissuto. 
  Non é stato semplice continuare a raccontare. Tanto mi sentivo lontano nel tempo e nello spazio, in questi giorni. Leggendo ogni giornale, difficile realizzare che sia tornato da un mese, difficile anche pensare di scrivere. Anch chiedendomi se fosse giusto descrivere le immagini registrate dai miei occhi così stridenti da quelle attuali. O forse, almeno, fino ad un certo punto, perché le differenze si accentuano nel reggio di pochi chilometri. Ho deciso di scrivere, ovviamente, per quanto abbia vissuto personalmente. Torno, senza un'idea definitiva, che non sia la consapevolezza di una situazione complicata che non si scioglierà mai se qualcosa non cambierà. Anzi. Onestamente, i miei colori non sono netti, tutt'altro, se non per affermare che qualunque fondamentalismo, intellettuale, economico o religioso, rappresenti un colore da evitare. Punto.Torno, personalmente contento, anche contentissimo, di questo viaggio che mi ha dischiuso le porte di una terra straordinaria, dalla varietà di paesaggi incredibile e ricca di storia e di cultura. Vive e riflesse negli occhi di chi le rinnova oggi, ogni giorno, tramite se stesso. Mai come in questo caso ho palpato con mano quanto sia vero che siamo tutto ciò che, venuto prima di noi, ci portiamo dentro. Ovviamente, questo vale anche per me.Torno, custodendo sensazioni e ricordi intensissimi. Come il profumo degli ulivi.