Enodas

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 Mi sento inghiottito dalla terra. Eppure cammino sospeso nel vuoto, sopra un canion profondo decine di metri. Là, in fondo, rigurgita rabbioso uno dei tanti fiumi sotterranei di queste parti, si spezza sulle rocce che lo costringono ed immediatamente riscompare nel buio. E buio sarebbe, ovunque, in questa stanza gigantesca dove il freddo là fuori scompare, ed il rumore si amplifica, si amplica ancora di più, assordante, spaventoso, in questo mondo fatto di giganti , personaggi immaginari, ombre di pietre costriute dall'acqua migliaia di secoli. Sorgono dal terreno scosceso, si calano dal soffitto, su quelle stesse pareti dove i segni lasciati dai primi esploratori si intravedono appena, nei gradini appena sbozzati, nelle assi pericolanti di un ponte aggrappato al nulla.Fino a quando é luce, abbagliante, infine, ed un alito gelido che spira, dalle rocce imbiancate, letteralmente ghiacciate, e come una gemma incastonata a forza, come fosse aggrappato sul nulla, si trova un castello. Silenzioso, come il gelo che lo circonda, che blocca il portone e fa scendere lentamente il sole oltre la vallata. La neve si tinge gradualmente dell'azzurrognolo di un cielo senza luce. E due ceppi ardono in un calderone, improvvisato, all'ingresso, come se fosse acceso per due guardie invisibili, fantasmi lasciati in custiodia, alla fine del giorno. 
 Manca un giorno alla fine dell'anno. E si sente tutto. Ogni grado sottozero. Ogni passo lugo la riva, tutto intorno. Seguendo con lo sguardo il profilo da fiaba che mi segue, oltre uno specchio d'acqua di colori e di riflessi. La neve lo separa dal tempo. Lo separano i fuochi, accesi la sera, si mettono in cammino lungo la sponda, proprio il giorno prima della fine dell'anno. Lo separano i banchi, già allestiti nel pomeriggio, ad accogliere lungo questo percorso circolare, lungo la strada, candida e ghiacciata, di una bevanda calda, un boccone sostanzioso o l'impasto del pane arrotolato su uno spiedo da mettere al fuoco. E soprattutto, lo separa il silenzio, quello che prende il colore azzuurro intenso delle montagne seminascoste, dell'acqua limpida e fredda, e che si materializza in una scalinata, vuota, che scende fino al pelo dell'acqua, laddove approderanno le barche, i viaggiatori che vorranno salire, in un altro tempo, in un altro giorno, quei gradini, fino al profilo esile di un campanile. Là, forse, rintoccherà una campana, un suono per ogni desiderio, per un augurio, che come un rintocco si scopra, fenda l'aria immobile come immobile é la sensazione di trovarsi sospeso in qualcosa che non cambierà, come un ricordo impresso da portare via, e rimbalzi tra le montagne fino a scomparire. Saranno i passi incerti, sarà il silenzio che accompagna una luce lontana, l'aria gelida di un inverno profondo, sarà la bellezza del paesaggio. Mi entra nell'anima. 
 Ho in mente una stradina in salita. E' ghiacciata, per un tratto, ed oltrepassarlo non é stato semplice. Respiro, una folata di vento gelida. Dal castello che domina Lubijana. Si vedono li montagne, vicine, e nascosti dietro, laghi cobalto, paesaggi silenziosi ed avvolti in una distesa di bianco candido, un rivolo d'acqua che scorre, ancora, sotto un ponte arcuato, le taverne nella pietra grezza che sono angoli di calore nascosto la sera. Questo silenzio, questo manto di neve, queste luci, hanno creato un'atmosfera d'inverno come un po' avevo dimenticato. 
 Respiro, a cavallo di un ponte. Buio, ormai, e difficile trovare un posto, improvvisamente, ed il volto é come se fosse anestetizzato. Guardo oltre una finestra, e vicino arde la legna nel forno. Sarà così, in semplicità, attendere. Respiro. Un'aria sempre più gelida, appena si alza un po' di vento. Ed attendo che il castello, là sopra, si accenda di fuochi. Per un attimo, almeno. Nell'aria si sente il sapore del vino caldo e molte voci in italiano. Ed uno scroscio di luci, veloce, si accende, crepita, e scompare nel buio.