Enodas

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 Chapter 1 - Prologue It's too much. E' troppo. Se non la prima, una delle prime cose che ho pensato. It's too much, una frase ricorrente, chissà quante volte. Tutto ciò che raggiunge i miei sensi, it's too much. L'olfatto, prima ancora che la vista, il rumore, il tatto di un clima diverso. Soverchiante, in ogni aspetto, per quanto uno possa immaginare prima di arrivare, prima di mettersi su un percorso lungo, lunghissimo, che in qualche momento mi é sembrato richiedere ogni possibile sforzo. Ma soprattutto, ho cercato di comprendere. Troppo distante la vita, la cultura, la storia. Troppo distante me stesso. E di fronte a tutto questo, ad una miriade di sensazioni e sentimenti indescrivibili, unito alle difficoltà di essere in viaggio, é inizialmente difficile procedere. Ed ancora, ripenso a quel too much, a cominciare dalla miseria disarmante, che colpisce subito, a prima vista, oltre qualsiasi aspettativa, unita alle diseguaglianze tanto abnormi quanto vicine, accozzate insieme a formare un'unica immensa scena. Un mondo nel quale camminavo, con la colpevole - in qualche modo - consapevolezza di essere velocemente di passaggio, e di trovare difficilmente sopportabile ciò che é la quotidianità di una vita. E' un pensiero che annienta, di primo impatto. Fino a quando non ci si rende conto che l'unico modo per procedere é quello di lasciarsi tutto alle spalle, per un po', il proprio mondo, le proprie abitudini, i propri filtri: solo allora, tutto quanto c'é da vedere, da scoprire, o almeno una piccola parte, diventa accessibile sotto una nuova luce. 
 Ma la verità é che ho incontrato una miriade di sorrisi. Ed erano sorrisi genuini. Anche questo é disarmante. Ed é forse un altro dei temi ricorrenti di questo viaggio. Cosa sia la felicità. Ogni tanto, quando la luce del giorno diventa sera, da qualche parte, qualcuno te lo chiede direttamente, che cosa sia per te, che cosa sia per lui, immersi in questo mondo così lontano, sulla riva di un fiume, lungo una strada impolverata, fosse essa immersa in un'accozzaglia di suoni o nascosta entro la polvere del deserto. Cosa sia, un matrimonio combinato, una spiritualità intensissima, i legami della tradizione e della propria terra, il suo sapore, come quello delle piante esotiche o l'amore religioso per la natura. Immagini a caso raccolte da una miriade infinita di umanità. E domande cui ovviamente non é possibile né tantomeno onesto dare una risposta. 
 E così, ad un certo punto, tra queste tante strade, non distinguevo più cosa fosse più interessante, tra persone come ferme ad attendermi o altri viaggiatori con le loro storie, alcune quasi dei libri da scrivere e raccontare. Tutto, in realtà in un movimento continuo, secondo una propria traiettoria ed i suoi incroci. Ho incontrato persone con un'incredibile voglia di vivere, ed una forza che sfidava la logica dell'età, donne granitiche nel loro girare ed allo stesso tempo indefinitamente fragili, ragazzi e ragazze persi in un viaggio di mesi ed altri di ritorno, su luoghi nuovi con vecchie esperienze da condividere, così come persone che procedevano da sole, dopo che i loro compagni di viaggio si erano arresi alla soverchiante intensità di questo Paese. E la verità é che, come del resto il grande palcoscenico che si spalancava davanti, ci fosse un po' di tutto. E nel frattempo, ho conosciuto famiglie intere, senza realmente conoscerne i membri, attraverso le parole di una persona soltanto. Ho navigato tra sogni e progetti, sia che fossero di rimanere sia che si trattasse di partire. Tutto ciò, anche, é stato questo viaggio, così differente, oltre i limiti per certi versi, sicuramente un po' più in là rispetto i miei limiti, in cui l'unica cosa prevedibile é l'imprevedibilità stessa del Paese, e della natura umana, che qui raggiunge densità soverchianti e francamente insostenibili, e rende ogni passo inaspettato. 
 Ho pensato a lungo a cosa scrivere. Un mese intero. Eppure non riesco a trovare le parole. Così tanti pensieri e così poche parole. A lungo ho immaginato questi passi come pagine di un libro. Un libro da raccontare, prima che ogni cosa, inevitabilmente, inizi a sbiadire: voglio raccontare. Un mese é poco, per un Paese che abbraccia l'estensione di un continente, ed allo stesso molto, per le possibilità che offre. Mi sono immerso in questo viaggio sin dall'inizio. Ho visto cose strazianti, azioni prive di logica - della mia logica -, normali banalità diventare assurdamente complicate. Go with the flow, l'unico modo per passarvi indenni. Ho visto immagini che difficilmente dimenticherò, nemmeno so se sia giusto o meno, provato infinita pietà ed impotenza. Ho visto la morte e la vita, uomini ed animali, parimenti, deformati in maniera innaturale, letteralmente, in unico affresco dove separare qualcosa era impossibile. Impossibile lo spazio, ristretto in surrogati di uomini, compressi fino a togliere il fiato, impossibile l'aria, il suo odore pungente che la sera riempiva il fazzoletto di inquinamento. Ed allo stesso tempo, i colori mi abbagliavano, un'infinita variazione di tonalità, meravigliosi e scintillanti come la luce, mentre la storia si nascondeva dietro labirinti di vicoli e passaggi impossibili. Ho ricevuto l'ospitalità più pure e più genuina, ed al tempo stesso evitato infinite fregature e, tra una pausa e l'altra, contrattato fino allo strenuo. Mi sono immerso, in tutto questo, sì, anche solo per un attimo, come se quei colori scintillanti e quelle storie lontane fossero l'acqua di un fiume nel quale bagnarsi. Ho cercato di farlo sempre col sorriso, perché non ci sarebbe stato motivo altrimenti e perché non sarebbe stato nemmeno giusto. E ne sono riemerso, arricchito di nuove immagini, di sensazioni e riflessioni non scritte, con un tassello in più della mia esperienza e, si spera, un segno aggiuntivo su di me. Quasi come quello segnato sulla fronte con un dito. E questa, cercherò, sarà la sua storia.