Enodas

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  "...e del grave occhio glauco entro l'austeradolcezza si specchia ampio e quietoil divino del pian silenzio verde..."(Giosue Carducci) 
 "Tolto di saper scrivere un pochino, ero perfettamente ignorante e mi sono, grazie a Dio, conservato. Solo l'arte stavami addosso senza saperlo, né lo so ancora..." Un filo d'erba. Un campo, un intrico di alberi. Silenziosamente, ondeggiano, immobili. No, non é una contraddizione. E quasi di sfuggita, figure umane. Si materializzano, quasi scompaiono, in un moto catturato, un istante, quasi uno scatto rubato per errore, tanto semplice é il gesto, tanto semplici le persone. Figure dimenticate, di un'Italia che fu, figure di un popolo "ignorante e selvaggio", immersi nei paesaggi della campagna maremmana, nei campi, al lavoro tra quei "fratelli spiriti" che sono gli animali, dove il soriso si alterna al pianto.Un filo d'erba. Trema, per un rumore lontano. Trema il terreno. Per la battaglia, una carica di cavalleria, il passaggio di un esercito. Il soldato é solo. E come fosse una lente, la tela si sposta su di loro, siano protagonisti o episodi, comunque dimenticati, figure anonime che scompaiono in quelle pagine di storia che hanno scritto senza firmarla.Macchia. La parola più ricorrente. Macchie di colore, che definiscono questi volti e questi paesaggi, a volte dando l'impressione che i primi siano ritagliati ed apposti sui secondi. Macchie che creano materia ed al temo stesso narrano stati d'animo, problemi, tragedie di un mondo semplice, anche quando era grande. "Tutto il creato che vedo, osservo e tocco mi incanta, mi fa pensare...e credo che la nostra materia faccia parte di questo tutto che ci circonda...""...Io amo il realismo, gli animali, gli uomini, le piante, hanno una forza, un linguaggio, un sentimento..." 
 "... La luce non é la luce universale di Piero della Francesca; é la luce di una tarda, afosa mattina d'estate..."(G.C.Argan)"...la lenta pazienza dei bovi accomuna l'umanità desolata sotto il giogo di una natura splendente..."(Lionello Venturi) Ci sono molti fili conduttori, stesi parallelamente, in questa mostra che mi é piaciuta molto. Il primo é l'arco di una vita, non troppo movimentata, come viene sottolineato all'ingresso, ed eccezione di un breve viaggio a Parigi e due matrimoni. Il secondo é la storia artistica che lo accompagna: le sezioni della mostra seguono questa evoluzione riuscendo comunque a sottolineare l'importanza e l'interesse per certe tematiche, le sperimentazioni su impostazioni sempre più potenti, di ampia armonia o forte drammaticità, a seconda delle esigenze. Poi, c'é la Macchia, inteso come filosofia artistica ed esplorazione, di cui Govanni Fattori fu interprete magistrale: non uno stile tra i miei preferiti, ma comunque una teoria importante in cui pittura fluida e materia si fondono nel colore. Poi c'é la Storia, quella dell'Ottocento italiano, che viene raccontata con taglio personale e con grande attenzione all'aspetto socile ed esistenziale. E questo é l'aspetto più coinvolgente di questa galleria che si dipana tra paesaggi di austera bellezza e situazioni di sconvolgente violenza. Una riflessione ed un racconto, di un Paese che tutto sommato non é poi così lontano. Uniti dall'amore per la semplicità e per tutto ciò che un occhio distratto potrebbe considerare anonimo. La guerra, nel suo inutile orrore ed in tutta la sua forza distruttiva, é il soggetto principale di quasi tutte le opere di narrazione militare, dove l'aspetto epico lascia spazio al dettaglio di un momento tragico e di taglio personale. E' una scelta di grande sensibilità. Che si riflette inevitabilmente anche in altri contesti. Interpretazione storica, allora, di un Paese formatosi "in ritado" rispetto a molti altri, con una coscienza storica ben più debole e differenze abissali, un Paese "tradito" dal Risorgimento e dai suoi ideali. Un tradimento che sulla tela ne tocca impietosamente gli stessi inconsapevoli attori. Fino al momento conclusivo, quando paesaggio e vita nella natura prendono il sopravvento nel dirigere il pennello e, andando oltre il racconto critico, diventano quasi domanda esistenziale. "...lo Staffato solo sulla strada fangosa trascinato verso la bufera e la morte da quel cavallo nero..."(Ugo Ojetti) 
 "Le celebri tavolette, i dipinti monumentali di soggetto risorgimentale, i magnifici ritratti, le scene di vita popolare saranno riuniti in una grande mostra che riproponga al pubblico l’assoluto protagonista, non solo della pittura macchiaiola, ma anche del naturalismo di fine secolo. Giovanni Fattori (Livorno, 1825 – Firenze, 1908) è stato certamente anche per la lunga vita, la qualità, il numero dei quadri realizzati, un protagonista di livello europeo. La sperimentazione della macchia cui lui ha dato un contributo decisivo, è stata solo una delle fasi di un’esperienza di maggiore e più vario respiro. Se nelle tavolette, come la famosa “Rotonda di Palmieri”, ha saputo dialogare con il Quattrocento Italiano, pur riuscendo a concepire una visione assolutamente moderna, nei dipinti successivi di grande formato ha saputo raggiungere una dimensione epica che lo accosta al realismo di Courbet. La pittura di Fattori, un artista impegnato sempre fedele a se stesso, è riuscita, soprattutto nella rappresentazione delle grandi battaglie de Risorgimento o della vita dura del popolo della Maremma, a rendere una fase della storia italiana con un respiro che ricorda la letteratura verista di Verga o la poesia di Carducci. La mostra consentirà di mettere a confronto non solo temi diversi ma anche differenti soluzioni stilistiche che dimostrano l’evoluzione dell’artista. La sua grandezza è stata nella capacità di interpretare tematiche universali, come appunto l’eroismo, la pietà, il lavoro, la morte, che emergono nei suoi ultimi capolavori tra i quali “Lo staffato” con una forza straordinaria da far pensare a Goya."(dall'Introduzione alla mostra) 
 "... Il suo canto plastico che fu dolce come un frutto maturo al sole..."(Carlo Carrà)