Enodas

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 "...non sempre il cielo ci accorda cio che desideriamo [...]Le note rimasero sospese nel buip che si andava infittendo, e sapevo che anche quella serata sarebbe rimasta sospesa, come una stella dietro le nubi, nella mia memoria..." Sono rimasto alle pagine di un libro. Tra le vie di Roma, Firenze, Napoli. Vi si alternavano donne eroiche, pagine di sangue, fragilità e solitudine. Passione. Come tratti di pennello, colpi alla tela ed alla vita. Eccole, quelle donne, i loro mille volti che si riconoscono nella stessa immagine, come uno specchio d’acqua per quegli stessi occhi che ora guidano il pennello, trasformano l’ombra in colore ed il colore in luce. Vittime e vendicatrici: dagli sguardi amorevoli di una madre agli occhi orgogliosamente infuocati di nobildonne e regine della storia, dalla furia intrisa del sangue delle eroine della Bibbia all’estasi di un altro mondo di sante, è un universo intero che sembra ruotare attorno ad un volto, che osserva, e si mostra, dietro dei lineamenti nascosti. Sono gli occhi di una donna ed a volte, oltre quei colori, di cui era “maestra illustrissima”, la sensibilità dei gesti parla per loro. Come a dire, anche, quanto abbia perso il mondo dell’arte in passato. Come a dire, questo è un viaggio affascinante che arde negli occhi e nei colori. “Ricordai la mia delusione quando papà mi aveva fatto vedere la Giuditta di Caravaggio…aveva concentrato tutta l’emozione sull’uomo. Evidentemente non riusciva a immaginare che una donna fosse in grado di pensare. Io invece volevo dipingere i suoi pensieri, se una cosa del genere era possibile…” 
 Questo nome, questi sguardi: è un viaggio affascinante in una vita romanzata ed un periodo in subbuglio. Perché, se ci sono veramente pochi artisti dei quali è possibile dire che abbiano avuto, in vita, vicende intense e appassionanti quanto la loro arte, tra loro c'è, senz'ombra di dubbio, Artemisia. Anche a rischio di ripercorrere un cliché ed in qualche modo tradire la forza straordinaria di una pittrice che seppe farsi largo nel mondo chiuso e prettamente maschile del suo tempo. All’ombra di quello stupro subito e del processo che ne conseguì: rimane difficile nonostante tutto credere che le sue eroine ne fossero uscite distaccate e lontane. Ma certo ci fu anche l’artista, il cui talento esplose presso le corti più prestigiose del tempo, consapevole di se stessa. L’amicizia con Galileo, con i grandi nomi della Roma artistica prima, Firenze e Napoli poi, la gestione di uno studio di pittura proprio e le lotte alla pari con i fratelli ed un padre padrone, testimoniano una personalità emancipata, ed intellettualmente vivace, forte come le donne che pose al centro dei suoi racconti. 
 “…Una mattina, passò nella nostra stretta via della Croce una pescivendola con due ceste di pesce secco. Aveva le maniche arrotolate e le braccia muscolose erano robuste e nerborute come quelle, solcate di vene, del Mosè di San Pietro in Vincoli. Erano quelle le braccia che doveva avere Giuditta: più robuste e forti di quanto le avessi disegnate e anche con le maniche arrotolate, pronta al bagno di sangue, irrigidita nella determinazione e dalla ripugnanza, mentre affondava nella gola di Oloferne la sua stessa lama d'acciaio. E la serva di Giuditta, Abra, anche lei doveva avere braccia robuste, per poter schiacciare il petto del tiranno. Inoltre, la mia Giuditta avrebbe tenuto un ginocchio sul letto del tiranno, come una contadina che sta scannando un maiale…”
 [...] “Un viaggio nell’arte della prima metà del XVII secolo seguendo le tracce di una grande, vera donna. Una pittrice di prim’ordine, un’intellettuale effervescente, che non si limitava alla sublime tecnica pittorica, ma che seppe, quella tecnica, declinarla secondo le esigenze dei diversi committenti, trasformarla dopo aver assorbito il meglio dai suoi contemporanei, così come dagli antichi maestri, scultori e pittori. La parabola umana e professionale di Artemisia Gentileschi (1593-1653), straordinaria artista e donna di temperamento, appassiona il pubblico anche perché è vista come un’antesignana dell’affermazione del talento femminile, dotata di un carattere e una volontà unici. Un talento che le consentì, giovanissima, arrivata a Firenze da Roma, prima del suo genere, di entrare all’Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze; che le fece imparare, già grande, a leggere e scrivere, a suonare il liuto, a frequentare il mondo culturale in senso lato; una volontà che le consentì di superare le violenze familiari, le difficoltà economiche; una libertà la sua che le permise di scrivere lettere appassionate al suo amante Francesco Maria Maringhi, nobile raffinato quanto tenero e fedele compagno di una vita. Una tempra la sua, che pure sotto tortura (nel processo che il padre intentò al suo violentatore Agostino Tassi) le fece dire: “Questo è l’anello che tu mi dai et queste le promesse”, riuscendo così a ironizzare, fino al limite del sarcasmo, sulla vana promessa di matrimonio riparatore. […]”(dall’Introduzione alla mostra: Artemisia e il suo tempo) 
 “[…] Il tempo, i documenti, le carte uscite fuori dagli archivi, e forse ancora molte da trovare, han reso giustizia a una donna, a un’artista, a un’eroina che non si fa scrupoli perché solo in questo modo è possibile esser donna e pittrice in quell’epoca, in quel mondo. Non era affatto bambina quando conobbe il Tassi che amò per quasi un anno. E certo il processo ci fu e alla fine non si sposarono. Sposò lo Stiattesi ma chi tra i due ci guadagnò, non è chiaro. Amò furiosamente un suo coetaneo alla corte di Firenze, il nobile Francesco Maria Maringhi, come testimoniano le sue lettere appassionate, che la salvò dall’accusa di furto di colori quando scappò con i figli, che molti ne ebbe, da Firenze a Roma. Cambia case, si fa nuovi amici, non paga i debiti, pur di lavorare e di essere grande tra i grandi del suo tempo. L’amico Vouet ci lascia un suo ritratto (ma il suo volto lo si conosce a memoria, che lo regala alle sue donne di pennello più crudeli). È a Venezia e poi a Napoli. Si fa agente di se stessa. Ha a che fare coi grandi della nostra penisola, come d’Europa, raccomandando perfino famiglia e parenti, rimandando consegne di lavori, scrivendo lettere tanto supplichevoli quanto furbe. Scrive a Galileo di cui è amica. Il suo amante di sempre, il Maringhi, la raggiunge a Napoli. Girolamo Fontanella compone un’ode per lei e negli anni successivi addirittura sette per le sue opere. Parte per Londra, dove raggiunge il padre, e dove rimane anche dopo la sua morte per rientrare poi a Napoli dove lavora molto e molto promette, pur di farsi anticipare danari e colori.Secondo le fonti vien sepolta nella Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini. “Heic Artemisia” sulla sua lapide. Perché da questo momento è solo Artemisia, la grande, immensa pittrice.”(dall’Introduzione alla mostra: Artemisia e il suo tempo)